Diversa efficienza al verificarsi dell’incidente d’auto. L’art. 2054 c.c. non è violato
Secondo la Cassazione non si viola l’art. 2054 c.c. con l’escludere il paritetico apporto causale dei conducenti nella verificazione del sinistro.Secondo la Cassazione non si viola l’art. 2054 c.c. con l’escludere il paritetico apporto causale dei conducenti nella verificazione del sinistro.
Tizio e Caia morivano a seguito di uno scontro frontale fra le autovetture che conducevano.
Gli eredi dei defunti agivano in giudizio per chiedere il rispettivo risarcimento. Il Tribunale di primo grado dichiarava l’esclusiva responsabilità di Caia riconoscendo il diritto al risarcimento dei danni nei confronti di congiunti di Tizio.
La Corte di Appello, tuttavia, dichiarava che l’incidente si era verificato per il concorrente apporto causale di entrambi i conducenti, determinando nel 70% quello di Tizio e nel 30% quello di Caia, diminuendo proporzionalmente il risarcimento spettante ai congiunti di Tizio.
Avverso la sentenza di secondo grado ricorrevano per cassazione i congiunti di Caia e resistevano con controricorso i congiunti di Tizio che proponevano anche ricorso incidentale.
Si costituiva anche la Compagnia di assicurazioni di Tizio la quale proponeva anch’essa ricorso incidentale.
I due ricorsi venivano riuniti ed entrambi respinti. I ricorrenti principali, invero, censuravano la sentenza impugnata in punto di determinato apporto causale di ciascuna delle due vittime, dolendosi che esso non sia stato determinato in misura paritetica in applicazione dell’art. 2054 c.c. I ricorrenti incidentali, per contro, si dolevano che la Corte d’appello aveva ravvisato il concorso di colpa anche in capo a Tizio.
La Suprema Corte ha affermato sul punto che non si viola l’art. 2054 c.c. con l’escludere il paritetico apporto causale dei conducenti, benché i comportamenti di entrambi fossero stati considerati cause efficienti dell’evento, non essendo incompatibile con la causalità che ciascuna causa incida con efficienza diversa al verificarsi dell’evento e che, dunque, ai fini risarcitori siano percentualmente graduabili i rispettivi apporti determinativi, benché l’evento non si sarebbe verificato se anche una soltanto di esse fosse mancata.
Sul ricorso incidentale della Compagnia di assicurazioni di Tizio con cui si censurava la decisione della sentenza impugnata per aver essa riconosciuto gli interessi legali sulle somme rivalutate benché essi non fossero stati mai chiesti in primo grado e fossero stati inammissibilmente richiesti solo in appello, la Cassazione ha precisato che nei debiti di valore il riconoscimento di interessi c.d. compensativi costituisce una mera modalità liquidatoria del possibile danno da lucro cessante, cui è consentito al giudici di far ricorso col limite costituito dall’impossibilità di calcolare gli interessi sulle somme integralmente rivalutate dalla data dell’illecito (Cass., Sez. Un., n. 1712/1995). Non è dunque necessario che essi siano esplicitamente domandati né, una volta chiesto al danneggiato l’integrale risarcimento che nei debiti di valore presuppone sempre e comunque che la liquidazione sia effettuata in valori monetari, è configurabile una violazione dell’art. 345 c.p.c. per essere stati gli interessi esplicitamente domandati solo in appello. Tale domanda sarebbe infatti inutile in relazione al petitum iniziale, posto che gli interessi costituiscono voce dell’integrale risarcimento da illecito civile che tiene conto della ritardata percezione dell’equivalente del monetario del danno.
(Cassazione civile Sentenza 28/04/2010, n. 10193)