Divieto di cookies senza autorizzazione: nessuno rispetta la nuova norma
Con le modifiche introdotte di recente al codice della privacy, l’archiviazione automatica di cookies nel computer dell’utente di Internet non può avvenire senza l’espressa autorizzazione di questi: tuttavia la nuova normativa viene ancora ignorata dalle aziende che offrono servizi online.
I cookies sono piccoli files di testo che si installano automaticamente dentro i computer durante la navigazione in rete e racchiudono le preferenze della navigazione stessa e i gusti del netizen. Tali dati, appetibilissimi per chi svolge vendite online, vengono poi sfruttati per vari scopi commerciali come l’invio di newsletter o la mostra di banner pubblicitari.
Già la Comunità Europa aveva introdotto l’obbligo della previa informativa e autorizzazione dell’utente al tracciamento dei propri spostamenti sul web a partire dallo scorso 25 maggio. Una rivoluzione copernicana della privacy su internet che, tuttavia, al momento, i gestori dei siti sembrano poco intenzionati a rispettare. Sebbene ai fini dell’espressione del consenso possano essere utilizzate specifiche configurazioni di programmi informatici o dispositivi di facile e chiaro utilizzo, alcun avviso ancora compare nelle videate di chi si connette a qualsiasi url.
La ricorrente giustificazione – troppo spesso impiegata nella realtà materiale – di incapacità ad adeguare nel breve periodo l’enorme mole di siti web, aziende ed enti governativi ci sembra, in questo ambiente, di scarso appiglio, posta la facilità di programmazione e aggiornamento dei codici. Prova ne è il fatto che anche un adempimento semplice come quello dell’obbligatoria indicazione della partita IVA in homepage per tutti i siti che producono reddito di impresa non viene ancora rispettato da tutti. Il che la dice lunga sull’osservanza delle norme del diritto in Internet.
Non c’è in realtà alcuna volontà di agire in modo limpido e trasparente nei confronti degli utenti: un po’ forse perché l’incontrollata fobia del controllo generale, da parte di un Grande Fratello del marketing, si è diffusa anche tra i navigatori più sprovveduti e leggeri. Subordinare il tracciamento degli utenti al loro stesso consenso potrebbe voler dire la drastica riduzione dei dati personali da trattare e vendere per finalità pubblicitarie. Con buona pace del vero business che regge più della metà delle attività sul web.
La pubblicità sarà anche l’anima del commercio, ma in Internet ne è anche il corpo!
Sarebbe dunque ora che l’Autorità Garante per la privacy si svegli e proceda ad effettuare i dovuti accertamenti per imprimere un nuovo corso alla trasparenza su Internet, in devozione dei suoi stessi utenti. Utenti che, oggi, vengono trattati massivamente, senza alcun rispetto della privacy.