Divieto di fumo e responsabilità dei gestori dei locali pubblici
I titolari dei locali pubblici non sono tenuti a vigilare sulla
osservanza e sul rispetto della normativa in materia di divieto
antifumo.
La giurisprudenza torna sull’annosa questione del
dovere di sorveglianza dei titolari dei locali pubblici sul rispetto
delle regole antifumo e sul contenuto della circolare del Ministero
della salute del 2004.
Occorre una specifica previsione
normativa per imporre un simile dovere di vigilanza in tal senso nei
confronti dei soggetti responsabili.
E’ quanto è stato
stabilito e chiarito, ancora una volta dalla giurisprudenza, con la
sentenza 6167/2009 del Consiglio di Stato.
Quadro normativo di riferimento
Il quadro normativo di riferimento è rappresentato dai seguenti provvedimenti:
- legge 11 novembre 1975, n. 584;
- direttiva Pres. Cons. min., 14 dicembre 1995;
- art. 52, comma 20, legge 448 del 2001;
- accordo Stato–Regioni del 24 luglio 2003;
- D.P.C.M. del 23 dicembre 2003;
- art. 19, d.l. 9 novembre 2004, n. 266;
- art. 51, legge 16 gennaio 2003, n. 3.
Con la legge 16 gennaio 2003, n. 3 è stata introdotta, nel nostro ordinamento, al sopra citato articolo 51, la “Tutela della salute dei non fumatori”, che ha esteso il divieto di fumo, già previsto dalla legge 584/75, a tutti i locali chiusi (compresi
i luoghi di lavoro privati o non aperti al pubblico, gli esercizi
commerciali e di ristorazione, i luoghi di svago, palestre, centri
sportivi), con le sole eccezioni dei locali riservati ai fumatori e degli ambiti strettamente privati (abitazioni civili).
Nello
specifico il citato articolo 51 persegue il fine primario della tutela
della salute dei non fumatori, con l’obiettivo della massima estensione
possibile del divieto di fumare, che, come tale, deve essere ritenuto
di portata generale, con la sola, limitata esclusione delle eccezioni
espressamente previste.
Per ciò che concerne l’ambito oggettivo di applicazione della norma, essa applica il divieto di fumo a tutti i locali chiusi pubblici e privati aperti ad utenti o al pubblico.
Per quelli pubblici, poi, il comma 10 dell’art. 51 della legge n. 3/2003
mantiene immodificate le attuali disposizioni in materia, restando così
confermato il divieto totale di fumo in scuole, ospedali, uffici della
pubblica amministrazione, autoveicoli di proprietà dello Stato, di enti
pubblici e di privati concessionari di pubblici servizi per il
trasporto collettivo di persone, taxi, metropolitane, treni, sale di
attesa di aeroporti, stazioni ferroviarie, autofilotranviarie e
portuali-marittime, biblioteche, musei, pinacoteche.
La disposizione è stata oggetto, in seguito, della circolare del Ministro della Salute del 17 dicembre 2004 recante appunto “Indicazioni interpretative e attuative dei divieti conseguenti all’entrata in vigore dell’art. 51 della legge 16/1/2003, n. 3, sulla tutela della salute dei non fumatori”.
La “contestata circolare”
Con
la circolare del Ministero della salute del 17 dicembre 2004 sono stati
dati alcuni chiarimenti i merito al divieto di fumo nei locali pubblici
e alla responsabilità dei gestori.
In tale circolare, tra le altre cose, è stato ribadito il concetto che sui soggetti responsabili della struttura o sui loro delegati ricadono gli obblighi di:
-
richiamare formalmente i trasgressori all’osservanza del divieto di fumare;
-
segnalare,
in caso di inottemperanza al richiamo, il comportamento del o dei
trasgressori, ai pubblici ufficiali e agenti ai quali competono la
contestazione della violazione del divieto e la conseguente redazione
del verbale di contravvenzione.
Secondo quanto
stabilito dalla circolare citata, quindi, i gestori non sono tenuti
soltanto alla materiale apposizione del cartello di divieto di fumo ma
anche ad attuare interventi attivi di dissuasione nei confronti dei
trasgressori a pena di sanzione che può arrivare alla sospensione da
parte del questore, per un periodo da tre giorni a tre mesi, o alla
revoca della licenza di esercizio del locale.
In particolare,
i gestori dovranno richiamare formalmente i trasgressori all’osservanza
del divieto di fumare; e segnalare, in caso di inottemperanza al
richiamo, il comportamento del o dei trasgressori, ai pubblici
ufficiali e agenti ai quali competono la contestazione della violazione
del divieto e la conseguente redazione del verbale di contravvenzione.
Su
tale punto concernente la responsabilità dei gestori dei locali
pubblici, con conseguente limitazione dell’iniziativa economica privata
(diritto costituzionalmente previsto) è intervenuta spesso la
giurisprudenza, contestando un simile dovere di sorveglianza in capo ai
titolari, e, da ultimo, la sentenza in commento, che, ancora una volta,
ha ribadito la violazione delle norme costituzionali da parte della
citata circolare ministeriale del 2004.
La decisione del Consiglio di Stato
Con
la sentenza in commento, n. 6167/2009, infatti, il Consiglio di Stato
ha confermato la sentenza di primo grado ribadendo che “occorreva
una previsione legislativa per imporre i descritti doveri di vigilanza
nei confronti di soggetti esercenti la propria libertà di iniziativa
economica privata nell’ambito di locali aperti al pubblico, in qualche
misura trasformati in incaricati di una pubblica funzione, o, quanto
meno, di un pubblico servizio”, mentre neppure con il comma 5
dell’art. 51, riferito alle sanzioni applicabili nel caso d’infrazioni
al divieto di fumo, mediante rinvio all’art. 7, legge 11/11/1975, n.
584, era contenuta la disciplina relativa ad eventuali obblighi
gravanti sui soggetti preposti alla vigilanza.
La citata
circolare del Ministero della salute del 17 dicembre 2004 (già,
peraltro, contestata dalla giurisprudenza precedente) era, ed è,
quindi, del tutto inidonea non già a svolgere una funzione
integrativa della disciplina sul divieto di fumo, ma, in violazione
della norma costituzionale attributiva della competenza normativa, a
prevedere specifici doveri dei gestori privati, al cospetto di un
avventore (utente, collaboratore o fornitore) eventualmente
trasgressivo, tra l’altro prevedendo che nell’ipotesi dell’
inosservanza di tale obbligo, il questore avrebbe potuto sospendere
(per un periodo da tre giorni a tre mesi) o revocare la licenza di
esercizio del locale.
La circolare del Ministero della salute ha, dunque, violato la norma costituzionale che attribuisce la competenza normativa.
Precedenti giurisprudenziali
E’
illegittima la circolare emanata dal Ministero della Salute, per
violazione dell’art. 23 cost., nella parte in cui, in mancanza di una
legge che lo preveda, impone ai gestori dei locali privati obblighi
positivi diversi dalla esposizione dei cartelli riproducenti i divieti
di fumo, ovvero: a) l’obbligo di vigilare sul rispetto del divieto di
fumo all’interno del locale, di richiamare i trasgressori
all’osservanza del divieto attraverso interventi attivi e formali di
dissuasione e di ammonizione, b) l’obbligo di curare che le eventuali
infrazioni siano immediatamente segnalate agli agenti o ai funzionari
di polizia, ovvero ai soggetti pubblici incaricati di accertare e di
contestare la violazione di legge, oltre che di applicare la relativa
sanzione
(Tar Lazio, sezione III ter, Sentenza 1 agosto 2005, n. 6068, con nota di Buffone)
Il Tribunale di Roma non aderisce all’indirizzo giurisprudenziale inaugurato con Corte d’appello di Roma, sezione I civile, sentenza 7 marzo 2005, n. 1015, confermando i propri precedenti reiettivi delle pretese attoree in tema di responsabilità dell’ente tabacchi per i danni arrecati dal fumo, (Tribunale Roma, 11 febbraio 2000, in Corriere giur., 2000, 1639; Tribunale Roma, 4 aprile 1997, in Danno e resp., 1997, 750).
In
primis, ad avviso del Giudice, non risulta invocabile l’art. 2050 c.c.
poiché la norma in esame fa riferimento alle “attività pericolose”, e
non già alle mere “condotte” pericolose: “le prime ricorrono allorché
l’attività presenti una notevole potenzialità di danno a terzi, mentre
nulla rileva se un’attività, normalmente innocua, diventi pericolosa
per la condotta di chi la esercita. Sicché, ai fini dell’art. 2050
c.c., non è rilevante una mera condotta soggettiva pericolosa, idonea a
far sorgere la responsabilità soltanto secondo la regola dell’art. 2043
c.c. ”
Una certa attività, quindi, “non può essere ritenuta
“pericolosa” sol perché coloro che la praticano non adottano
normalmente le cautele che sarebbero opportune, giacché in tal modo si
assumerebbe a parametro valutativo non già l’attitudine dell’attività a
recare danno, bensì il grado di diligenza comunemente riscontrabile”.
Per
altro verso, ad avviso del Tribunale, la responsabilità non appare
ricostruibile neanche in termini di un illecito aquiliano dell’E.T.I.,
per omessa informazione del consumatore sui pericoli da fumo, mancando
innanzitutto nella specie un valido nesso causale.