Divisione ereditaria: valido il contratto che non menziona la concessione edilizia dell’immobile
La divisione ereditaria è un atto fra vivi, ma
scaturisce comunque dalla morte del de cuius: non soggiace, dunque, ai
requisiti formali di validità imposti dall’articolo 40, comma 2, della
legge 47/1985. Inutile appellarsi all’omessa menzione della concessione
edilizia: il contratto, anche se articolato in più atti coordinati,
resta valido perché destinato non a uno sconosciuto acquirente ma a
soggetti che sono già comproprietari dell’immobile. È quanto emerge
dalla sentenza 2313/10 della Cassazione.
Il caso
Morto il genitore, i figli devono
spartirsi l’eredità e serve più di un passaggio per attribuire a
ciascuno la sua quota. I vari atti sottesi al negozio puntano tutti a
individuare i beni da attribuire a ogni erede: si tratta di un negozio
complesso, insomma, eppure va esclusa la nullità che si configura ad
esempio per la compravendita laddove l’alienante non dichiara gli
estremi del titolo edilizio (licenza, concessione o sanatoria). Pur
essendo atto fra vivi – osservano gli “ermellini” – la divisione
ereditaria costituisce comunque l’evento finale della vicenda
successoria: non può dunque essere considerata autonoma dalla morte del
de cuius. E la categoria degli atti “mortis causa” resta fuori dai
paletti posti dalla legge 47/1985 sulla nullità documentale.
Giurisprudenza e dottrina concordano: la disposizione “incriminata”
vuole fornire all’acquirente una nozione precisa della condizione
urbanistica in cui si trova l’immobile negoziato; un’esigenza che
risulta estranea al coerede-condividente, il quale è già
comproprietario del bene e deve conoscerne – e subirne – le vicende
urbanistiche. Negli atti fra vivi sui diritti reali affetti da nullità,
infine, non rientra lo scioglimento delle comunioni.