Doppio cognome, è giusto che i figli abbiano solo il cognome paterno?
Lo sbiadimento della figura paterna sta generando enormi problemi nella
società occidentali. La principale è la maggiore fragilità dei figli
nell’affrontare le sconfitte e dolori della vita, a cui la crescente
«maternalizzazione» dell’educazione non prepara in modo adeguato. Negli
Stati Uniti, dove gli uffici del censimento curano anche questi aspetti
statistici «politicamente scorretti», il drappello di testa dei
comportamenti più gravemente devianti (suicidi, tossicomanie,
comportamenti antisociali, psicopatologie gravi), è sempre guidato da
persone cresciute in famiglie in cui il padre era assente; o perché se
n’era andato, o perché ne era stato espulso. L’assenza paterna non
determina di per sé una devianza o grave patologia, ma di sicuro ne
aumenta il rischio.
È anche in questo sfondo problematico che si
colloca la questione del doppio cognome dei figli, non riconducibile
dunque solo all’aspetto positivo dell’affermazione della donna nella
società occidentale contemporanea. Questa legge non può allora
limitarsi ad affermare la rivincita della donna-madre dalla precedente
ingiusta esclusione (le vendette realizzate per legge hanno il fiato
corto), quanto fare davvero l’interesse dei figli che quel cognome
porteranno. Non serve un regolamento di conti e di potere tra le donne
e gli uomini di oggi, magari in nome di quelle di ieri, bensì tutelare
l’equilibrio e lo sviluppo della società di domani.
Certo, la Comunità
europea chiede l’equiparazione tra uomini e donne e l’abolizione delle
pratiche discriminatorie, ma quella del cognome non è solo una
questione giuridica. Nell’aspetto apparentemente formale (ma fortemente
simbolico, e dunque profondo) del cognome, è in gioco l’equilibrio e la
spinta vitale delle future generazioni, che poggiano sulla positività
del loro rapporto sia con la linea materna, femminile, che con quella
paterna, maschile. Allo sguardo giuridico va affiancata una visione che
affronti il significato del cognome nello storia personale. Dal punto
di vista psicologico ogni individuo sviluppa, nei confronti del
cognome, riferimenti diversi. Alla nascita, in una situazione di
presenza di entrambi i genitori, può essere giusto che «per legge» al
figlio si dia i cognomi di entrambi i genitori. Spesso però, durante lo
sviluppo del figlio e della storia familiare, emergono fattori che
modificano la posizione di partenza. È nota la vicenda di Leonardo
Mondadori (ma non fu il solo) che scelse di chiamarsi col cognome della
madre, coincidente con i suoi interessi culturali e professionali,
piuttosto che con quello del padre, peraltro degnissima persona. In
altri casi il nucleo dell’identità personale è invece modellato sul
nome del padre, e della famiglia paterna. In altri ancora (ma
sicuramente non in tutti), entrambi i cognomi hanno invece uguale
rilevanza nel definire ed aiutare lo sviluppo dell’identità personale.
In una società davvero democratica e libera, il meglio sarebbe che ogni
persona, alla sua maggiore età, o successivamente, potesse scegliere
qual è il suo nome: della madre, del padre, o di entrambi.