La camorra porta di nascosto i rifiuti dalla Campania alla Romania. Via nave: Napoli, Dardanelli, fino al porto di Costanza sul Mar Nero. Ecco tutti gli uomini e le società coinvolte nel business dei veleni
Il mostro s’è risvegliato. Ruggisce di nuovo “Ochiul Boului”, l’occhio di bue, la discarica più spaventosa della Romania. Ruggisce da quando Napoli s’è trovata coperta un’altra volta dai rifiuti. Qui a Glina temono possa tornare il pericolo italiano, i container di spazzatura campana gestita dalla camorra. Temono che al di là delle dichiarazioni del governo Berlusconi, che promette di smaltire quella montagna puzzolente distribuendola fra le altre regioni, partano i traffici di navi fantasma stracolme di monnezza. Perché i soldi in gioco sono tanti. E i contratti ufficiali con gli smaltitori del Nord non rendono certo alla malavita italiana quanto quelle crociere di veleni. Non sarebbe la prima volta che i cargo scaricano illegalmente qui immondizia destinata altrove. Né che dietro a un’operazione legale spunti la mano della mafia. Tanto, una volta che i rifiuti sbarcano in Romania nessuno li trova più. Finiscono sepolti sotto questi mostri che chiamano “groapa”, con il corpo che s’estende per decine di ettari, putrefatto da decenni di accumuli. Il lago a Glina è sparito. La campagna è contaminata. L’acqua è marrone.
L’immondizia di Bucarest, strato su strato, è diventata alta come le colline a sud-est della capitale fino a risucchiare il paesino. Gente che respira quel tanfo dal 1976, quando l’ex leader comunista Nicolae Ceausescu decise di stivare qui gli scarti di Bucarest. Come Glina ci sono una miriade di altre discariche disseminate nel Sud. Legali e illegali. E a gestirle, dietro le società romene di facciata, ci sono gli italiani.
L’ultimo fenomeno che allarma l’Interpol è il fiorire, sotto i Carpazi, di una miriade di aziende campane che si occupano proprio di rifiuti. Sono quelle che oggi fanno temere che si stia organizzando qui la discarica di Napoli. Il progetto che saltò tre anni fa, quando il business era gestito dai soci di don Vito Ciancimino, che s’erano aggiudicati l’ampliamento di Glina, l’inceneritore di Ploiesti e un paio di grosse discariche a Mures e Baicoi. All’epoca fu un’inchiesta della Procura di Palermo, a caccia dei tesori nascosti del boss, a passare i confini e bloccare le operazioni, costringendo i soci dell’ex sindaco condannato a 13 anni per associazione mafiosa a svuotare le società e sparire nel colabrodo del diritto romeno. Agenda 21, la capofila fondata da Sergio Pileri e fratelli, è diventata una scatola vuota. Mentre la Ecorec, società che gestisce la discarica di Glina, è stata acquisita dal gruppo molisano Valente, che operava nella ex Jugoslavia dagli anni Ottanta. Due anni fa si sono decisi a giocare la loro prima partita sui rifiuti attuando un piano di ammodernamento per trasformare Ochiul Boului nella più grande discarica certificata d’Europa. Chiudendo contratti con gran parte dei paesi dell’Unione europea.
Intanto molti dei tentacoli societari dei fratelli Pileri, che gestivano con Gianni Lapis e Romano Tronci il gruppo di imprese incastrate una sull’altra, operano ancora a Bucarest. Nei rifiuti. Nell’immobiliare. Nella moda. Lo sa la polizia. Sa che alcune sigle sono cambiate, altre sono passate in mani straniere, altre ancora di italiani. Immerse nel mare delle circa cento società che si occupano di smaltimento da queste parti. È un sistema dove tutti conoscono tutti: “Ufficialmente non ci sono indagini in questo momento sul traffico di rifiuti dall’Italia alla Romania. Se da voi tutti sospettano tutti, qui ci atteniamo ai fatti”, replicano gli investigatori. Eppure fuori microfono confermano che il campanello d’allarme è suonato. I container di immondizia arrivano via mare. E passano facilmente le frontiere colabrodo dal porto di Costanza. O addirittura da Odessa e Illichivs’k in Ucraina. Proprio in questi mesi caldi, sono aumentati i controlli sul confine meridionale e i giornali romeni parlano di “caracatita”, la piovra italiana, la rete di società che in un gioco di scatole cinesi si spartisce la nuova partita dei rifiuti, della green economy e dell’eolico. È facile giocarla qui, dove mafia e camorra si sono stabilite da tempo. Basti pensare che negli ultimi cinque anni sono stati arrestati almeno dieci superlatitanti italiani in quest’area: da Francesco Schiavone, cugino di Sandokan, al camorrista Mariano Pascale, acciuffato a Dubraveni, a Ignazio Nicodemo che operava tra Pitesti e Costanza e Vincenzo Spoto, uno dei boss della Sacra Corona Unita. Nel frattempo sono triplicate le aziende italiane che partecipano a gare d’appalto per le nuove discariche e che si presentano a Romenvirotec, la più grande fiera romena sui rifiuti. Se nel sud del Paese impera la mafia cinese e i russi si sono organizzati sul confine con la Moldavia per gestire i traffici di rifiuti tossici attraverso le Repubbliche ex sovietiche, i più forti restano comunque gli italiani. Quelli che controllano il Nord-ovest, la zona di Bucarest e giù fino al Mar Nero. Per loro la monnezza non sporca, ma pulisce. Lava quattrini e succhia fondi pubblici. Ammalia l’Unione europea, prodiga di finanziamenti per ammodernare il sistema di smaltimento romeno e riempie i conti della malavita. E così l’emergenza Napoli è una gallina dalle uova d’oro. Paga il governo, paga Bruxelles, pagano tutti. Magari si firmano contratti con ditte italiane e, per guadagnarci due o tre volte, la stessa monnezza finisce sulle rotte della camorra. Mescolata a rifiuti che in Italia non si potrebbero nemmeno smaltire. Non è fantascienza. È la regola sul Mar Nero. Un business che rende più della droga dopo l’ingresso del Paese nell’Unione europea, quando anche la criminalità ha fatto un salto di qualità e s’è buttata sulle cosiddette imprese ecologiche: “Con il doppio vantaggio che gli investimenti sono a costo zero. E permettono di riciclare fiumi di soldi sporchi della criminalità organizzata in un paese della Ue. E rimetterli in circolo”, spiegano all’Interpol.
Qui non rischiano di spostarsi solo i rifiuti, dunque, ma la testa stessa del business. La base strategica del riciclaggio che guarda a Oriente. Basta fare un salto sabato notte al Bamboo. È la più grande discoteca dell’Est Europa, un paradiso fatto di musica e belle ragazze disseminato di oligarghi e uomini d’affari. I proprietari sono due italiani che hanno costruito nella capitale romena un piccolo impero: Giosuè e Ciro Castellano, i nipoti di Pupetta Maresca, compagna del boss Umberto Ammaturo e prima notabile donna della camorra. Un tavolo nella zona vip te lo devono dare loro di persona. Paghi anche mille euro per bere vodka commerciale. Fuori girano Ferrari, Audi e Bmw nuove di zecca. Perché a Bucarest sesso e affari sono una miscela inscindibile. Su quella pista psichedelica danzano loro e pure i miliardi che dall’Italia transitano nei Balcani. Ma dove possono stivare illegalmente i rifiuti? Lo spiega un ingegnere lombardo che, l’anno scorso, s’è sentito parte del gioco e ha cercato di entrare nel giro delle discariche. Con l’unico risultato di trovarsi in ospedale con le ossa rotte: “Qui funziona così: le società romene, dietro alle quali c’è la criminalità organizzata, ottengono dai Comuni le autorizzazioni per le discariche”, racconta a “L’espresso”. Ne è prevista una a Cumpana, alle foci del Danubio. Altre a Valul lui Traian in Dobrugia e verso Tulcea: “Dovrebbero servire per i rifiuti urbani e le aziende della zona. Invece nella realtà non succede così, perché il sistema è rudimentale e nella maggior parte dei casi non ci sono nemmeno i bidoni. Il Comune paga, ma il grosso della roba finisce nelle centinaia di discarche abusive che nascono dappertutto. Così alle imprese di smaltimento ufficiali restano milioni di metri cubi fantasma da riempire con quello che vogliono”.
Poche settimane fa la Guardia ambientale è tornata a Glina. Ha fermato alcuni camion che trasportavano da Iasi sostanze illegali. Più a sud hanno arrestato un autista con un carico di mercurio. È per questo che la spazzatura di Napoli per il popolo che vive arrampicato sull’immondizia è un incubo che ritorna. Proprio la monnezza a cui il presidente Traian Basescu oppose un fermo no nel 2007, fa sì che se oggi vai a Glina o nel piccolo paese Popesti Leordeni, e parli italiano, rischi la pelle come tre anni fa. Da un paio di mesi Radu e Mihai cacciano tutti via dalla discarica. E c’è pure Alin con loro, un giovane rom che ha lavorato a Napoli nel cantiere infinito della metropolitana. La stessa cosa se ti spingi a sud, verso Costanza, dove una miriade di discariche abusive rompono la campagna. Hanno picchiato un giornalista, un reporter straniero che s’avvicinava sfruttando il salvacondotto delle ambasciate. Lo confermano la polizia romena e gli uffici diplomatici. Tutti a Bucarest consigliano di girare al largo da quei disperati. E di lasciar perdere l’ecomafia dei Balcani. Perché non esiste. Quelle navi non attraccano davvero. E quei camion che loro sentono di notte scaricare putrescenza non sono reali. Occultati, come i rifiuti che portano, dietro nomi e società fittizie. |