La Sesta Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 7929) ha condannato un uomo per maltrattamenti in famiglia, reato previsto dall’articolo 572 del codice penale, per aver malmenato l’amante. Gli Ermellini hanno confermato la custodia in carcere, inflitta dal Tribunale di Messina, all’uomo che viveva contemporaneamente il ruolo di marito e padre perfetto e quello di amante stabile.
La difesa dell’amante manesco asseriva che la convivenza con la moglie e i figli nell’abitazione coniugale escludesse che la relazione adulterina fosse una sorta di “stabile rapporto di comunità familiare” da cui derivano rapporti ed obblighi di solidarietà e assistenza che sono insiti del reato contestato. I Supremi Giudici non hanno condiviso la tesi perché il carattere di stabilità del rapporto extraconiugale è fondamentale nell’attribuzione del reato. Pertanto hanno respinto il ricorso, confermato la misura cautelare e condannato al pagamento delle spese legali nonché della ammenda di euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.
Il nostro diritto penale prevede il reato di “Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli”, che è così definito dall’articolo 572 del codice penale: “Chiunque, (…) maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni 14, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni”.
La pena è aggravata se dal fatto derivano lesioni personali o la morte.
Da una prima analisi scaturisce la deduzione che la definizione del reato nasce in un’altra epoca storica, ed è particolarmente orientata al maltrattamento come violenza fisica. La formulazione generica delle norme, però, è in molti casi da considerarsi un vantaggio, perché permette di adeguarle ai mutamenti sociali.
Proprio grazie alle migliaia di sentenze in merito, il concetto di “maltrattare una persona della famiglia” si è evoluto in maniera diversificata.
In primis ingloba il maltrattamento morale, psicologico, la vessazione, la causazione di sofferenze non fisiche.
Tali atteggiamenti integrano il reato quando sono protratti, abituali, costanti.
Quindi non si parla di fatti episodici, che potranno ricevere tutela da parte di altre norme, ma di un’abitudine familiare, di un clima, di uno stato costante di vessazione, di un disagio prolungato nel tempo.
Si parla dell’esistenza di un vero e proprio sistema di vita di relazione familiare abitualmente doloroso ed avvilente provocato proprio con intento persecutorio.
Per esempio, una lite familiare, anche violenta, con insulti pesanti, non può come fatto sporadico configurare il reato di maltrattamento, che è essenzialmente un’altra cosa: è una soggezione morale o fisica continuata di un membro della famiglia ad un altro.
Il reato si perpetra nell’ambito di ogni entità definibile come famiglia, di diritto o di fatto, anche a prescindere dalla convivenza.