E’ sempre possibile il pignoramento del quinto anche in caso di pensione minima
E’ dovuta intervenire la Corte Costituzionale per stabilire se sia lecito o meno pignorare il quinto di pensione o stipendio anche nei casi in cui tali emolumenti siano particolarmente bassi. La Consulta ha depositato pochi giorni fa, il 3 dicembre 2015, la sentenza n. 248 (Presidente Criscuolo – Relatore Carosi) con la quale si pronuncia in merito a tale quesito, che era stato posto dal Tribunale civile di Viterbo, sezione esecuzioni.
Con ordinanza del 17 settembre 2014, infatti, il giudice di Viterbo aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 545, quarto comma, del codice di procedura civile, per violazione degli articoli 1, 2, 3, 4 e 36 della Costituzione, nella parte in cui non si prevede l’impignorabilità assoluta di quella parte della retribuzione necessaria a garantire al lavoratore i mezzi indispensabili alle sue esigenze di vita, «e, in via subordinata, nella parte in cui non prevede le medesime limitazioni in materia di pignoramento di crediti tributari introdotte dall’articolo 3 (comma 5, lettera b), del decreto-legge 2 marzo 2012 n. 16, recante “Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento”».
In sostanza, se la decurtazione di un quinto priva il pensionato o il lavoratore a bassissimo reddito del minimo vitale, è possibile comunque procedere con l’esecuzione? E non vi è disparità di trattamento quando si procede sul quinto dello stipendio, rispetto al caso in cui si tratti del quinto di una pensione minima?
Per i giudici costituzionali la risposta è che il prelievo può comunque essere eseguito e non esiste discriminazione.
La questione era sorta nell’ambito di una
procedura esecutiva promossa dal C. D. ai danni della signora P. L., debitrice
della somma complessiva di euro 10.513,13, oltre alle spese della procedura
esecutiva. Scrive la Consulta nel provvedimento: «la tutela della certezza dei rapporti giuridici, in quanto
collegata agli strumenti di protezione del credito personale, non consente di
negare in radice la pignorabilità degli emolumenti, ma di attenuarla per
particolari situazioni la cui individuazione è riservata alla discrezionalità
del legislatore».
«Nell’ambito delle soluzioni
costituzionalmente conformi, cioè caratterizzate dal bilanciamento tra le
ragioni del credito e quelle del percettore di redditi di lavoro esigui – si legge inoltre nella sentenza – il
legislatore sta esercitando la sua discrezionalità in modo articolato,
valorizzando gli elementi peculiari delle singole situazioni giuridiche
piuttosto che una riconduzione a parametri uniformi». Esiste infatti, sottolineano i giudici, una «disomogeneità delle situazioni sulla base delle quali è stato
instaurato il giudizio», che nel caso specifico «emerge da un esame obiettivo del contesto
normativo complessivo e dalla sua evoluzione differenziata».
E’ stata pertanto dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 545,
quarto comma, del codice di procedura civile, sollevata in riferimento agli
articoli 1, 2 e 4 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Viterbo. «Del resto – conclude la Corte – non bisogna dimenticare che, nel caso di pignoramento, bisogna sempre contemperare le esigenze del debitore con quelle del creditore, che ovviamente ha tutto il diritto di rientrare nelle proprie aspettative, riconosciutegli dalla legge: e tale contemperamento si realizza proprio nella previsione del limite del “quinto pignorabile”. Trattandosi infatti di una percentuale, la somma pignorabile è tanto minore quanto più basso è il reddito, senza così comportare sacrifici eccessivi per il debitore».