E’ valido il licenziamento intimato a voce da chi non ne ha il potere se il datore non lo smentisce
Se il licenziamento orale risulta illegittimo, il datore non può
disconoscerlo in corso di causa sostenendo che è stato intimato da chi
non ne aveva il potere: l’azienda avrebbe dovuto smentirlo
tempestivamente. Chi ha trovato un altro posto conserva il diritto alla
reintegra con il risarcimento al netto delle entrate provenienti dal
nuovo datore. Il datore che rifiuta di firmare l’accordo sindacale non
può farlo ritorcere contro le organizzazioni dei lavoratori che l’hanno
proposto e sottoscritto. Lo precisa la sentenza 3682/10 della
Cassazione. Non regge la tesi del datore secondo cui il licenziamento
orale doveva essere ritenuto insussistente perché intimato dal padre
del legale rappresentante e non da quest’ultimo in persona. L’azienda,
infatti, avrebbe dovuto smentire il soggetto privo di poteri mediante
comportamenti concludenti, cioè richiamando subito in servizio il
licenziato. Cosa che, nella specie, non è avvenuta. Anzi: il secondo
atto di recesso, intimato per iscritto, appare confermativo del primo
perché lo segue a breve distanza di tempo. Il licenziato che durante il
giudizio ha trovato un’altra occupazione conserva l’interesse a
ottenere la condanna del datore alla reintegra nel posto secondo
l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (legge 300/70): dal
risarcimento a carico dell’azienda, però, bisogna detrarre le somme che
il lavoratore ha percepito dalla nuova prestazione. Il dipendente
licenziato era un rappresentante sindacale che risulta essersi
adoperato per un accordo con l’azienda sottoscritto dalla sua
organizzazione ma non dal datore: la proposta negoziale, dunque, è
rimasta una bozza che non impegna chi l’ha avanzata. E dunque neanche
il licenziato, né come dipendente né come sindacalista.