Eccessiva durata del processo: i criteri di quantificazione del danno
I criteri di determinazione del “quantum” della riparazione
applicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo non possono essere
ignorati dal giudice nazionale.
E’ questo il principio
confermato dalla Sezione Prima Civile della Cassazione, con la sentenza
n. 21840 del 14 ottobre scorso, che è tornata a pronunciarsi sul tema
dell’equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, ai sensi della Legge 24 marzo 2001, n. 89.
Occorre rilevare che in tempi recentissimi la stessa Cassazione ha stabilito che “la
quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non
inferiore a euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine
di ragionevole durata” (Cass. civ. Sez. I Sent., 8 luglio 2009, n. 16086).
In
detta circostanza è stata richiamata la giurisprudenza della Corte dei
diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del
2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), secondo cui gli importi concessi
dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni “possono
essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le
decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con
il tenore di vita del paese interessato”, e purché detti importi non
risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una
soglia pari al 45 per cento del risarcimento che
Con quest’ultima decisione
di Cassazione è ritornata sul criterio di quantificazione del danno non
patrimoniale, stabilendo che i criteri di determinazione del quantum
della riparazione applicati dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo,
che ha fissato un parametro tendenziale che va da Euro
Euro 1.500,00 per anno, non possono essere ignorati dal giudice
nazionale, il quale può tuttavia apportare le deroghe giustificate
dalle circostanze concrete della singola vicenda, quali:
- l’entità della “posta in gioco”, apprezzata in comparazione con la situazione economico patrimoniale della parte;
- la durata del ritardo;
- il numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento;
- il
comportamento della parte istante, sicché rileva anche il ritardo c/o
la mancata presentazione della cd. istanza di prelievo, la quale non
incide sul termine di durata ragionevole, ma bene può essere assunto
come sintomo di uno attenuato interesse per la controversia.
In mancanza d’elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale
Si tratta di una conferma degli argomenti e dei principi svolti nella precedente citata sentenza n. 16086 del 2009, “con
la precisazione che tale parametro va osservalo in relazione ai primi
tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per
quelli successivi, al parametro di E 1.000,00, per anno di ritardo,
dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un
evidente aggravamento del danno”.
Si può completare l’informazione aggiungendo che già nel 2006
di Cassazione, ripercorrendo gli arresti della Corte di Strasburgo, ha
individuato nell’importo compreso tra euro 1.000,00 ed euro 1.500,00 la
base di calcolo dell’indennizzo per ciascun anno in relazione al danno
non patrimoniale, da quantificare poi in concreto avendo riguardo alla
natura e alle caratteristiche di ciascuna controversia. (Cass. civ.
Sez. I, 26 gennaio 2006, n. 1630).
In tale circostanza
la decisione si basò sulle pronunce della Corte europea del 10 novembre
2004 (in particolare, sul ricorso n. 62361/2000 e sul ricorso n.
64897/2001), che avevano appunto individuato la base di calcolo
dell’indennizzo per il danno non patrimoniale nell’importo compreso tra
Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 “per ciascun anno di durata del procedimento (e non per anno di ritardo)”.
Si
puntualizzò, anche allora, che il limite minimo e quello massimo
potevano essere superati, nella concreta quantificazione del danno, “per
le particolarità della fattispecie (quali, tra le altre, l’entità della
“posta in gioco” ed il comportamento della parte istante)”.
La quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di
regola, non inferiore a euro 750,00 per ogni anno di ritardo. Tuttavia,
tale cifra deve valere in relazione ai primi tre anni eccedenti la
durata ragionevole, e non deve essere inferiore a euro 1000 per quelli
successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente quest’ultimo
periodo determina uevidente aggravamento del danno. (1-2)
(*) Riferimenti normativi: Legge n. 89/2001.
1)
In tema di ansia come danno non patrimoniale derivante da irragionevole
durata del processo, si veda Corte d’Appello Potenza, sez. lavoro, decreto 10.03.2009.
(2) Si veda il focus di L. Viola: Equa riparazione da irragionevole durata del processo: le novità giurisprudenziali.SUPREMA CORTE DI CASSAZIONME
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 14 ottobre 2009, n. 21840
Svolgimento del processo
I.V.
adiva la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa
riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso
innanzi al T.a.r. per la Campania, avente ad oggetto la corresponsione
di contributi per l’assistenza prestata ad un proprio familiare,
proposto nel luglio 1997, deciso con sentenza del 16.3.01, appellata
innanzi al Consiglio di Stato.La Corte d’appello, con decreto
del 24.1.2006, fissata la durata ragionevole del giudizio in anni tre
(in relazione alla domanda concernente il giudizio di primo grado),
liquidava per il danno non patrimoniale, per il tempo eccedente detto
termine (mesi otto), Euro 500,00 per ciascun anno di ritardo, quindi,
complessivi Euro 334,00, oltre interessi legali dalla data del decreto,
condannando la Presidenza del Consiglio dei ministri a pagare le spese
del giudizio.Per la cassazione di questo decreto ha proposto
ricorso, I. V., affidato a dieci motivi; ha resistito con controricorso
la Presidenza del Consiglio dei ministri.Motivi della decisione
1.-
La ricorrente, con i motivi da 1 a 6 e 10^, denuncia violazione e falsa
applicazione dell’art. 6 1 CEDU, della L. n. 89 del 2001 e degli artt.
112 e 132 c.p.c., nonchè difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3
e 5); dopo avere richiamato una serie di sentenze della Corte di
Strasburgo e di questa Corte, sulla premessa dell’efficacia vincolante
per il giudice nazionale sia della CEDU, sia della giurisprudenza della
Corte EDU, pone le seguenti questioni (riassunte nel primo motivo, ma
sostanzialmente reiterate negli altri mezzi, anche in difformità
rispetto alla sintesi datane nella rubrica degli stessi):la
liquidazione dell’equa riparazione andrebbe effettuata avendo riguardo
all’intera durata del giudizio; il giudice nazionale non potrebbe
discostarsi dal parametro stabilito dal giudice europeo (Euro 1.500,00
per anno); nelle cause concernenti controversie di lavoro e/o
previdenziali dovrebbe essere riconosciuto un bonus di Euro 2.000,00 e,
se il giudice nazionale ciò non fa, incorrerebbe in omessa pronuncia e
vizio di motivazione (motivi 2-4 e 6), mentre il ritardo nel deposito
dell’istanza di prelievo potrebbe rilevare esclusivamente ai fini della
quantificazione del risarcimento (motivo 5); in relazione a detti
profili la motivazione del decreto sarebbe viziata (motivo 10).1.1.-
Con i motivi da 7 a 9, è denunciata violazione e falsa applicazione
dell’art. 6 CEDU e dell’art. 1 del protocollo addizionale, degli artt.
91 e 92 c.p.c., delle tariffe professionali ed omessa pronuncia (art.
112 c.p.c.), nonchè difetto di motivazione nella parte in cui il
decreto avrebbe quantificato in misura insufficiente le spese del
giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, art. 132 c.p.c.), discostandosi
dai criteri della Corte EDU e dalle liquidazioni operate da questa
Corte, non applicando le voci della tariffa prevista per i giudizi
contenziosi e riducendo senza motivazione gli importi asseritamente
dovuti.2.- Il ricorso proposto dall’avv. M.A.L., in proprio,
quale antistatario, e inammissibile, perchè proposto da soggetto non
legittimato.Secondo l’orientamento di questa Corte, al quale va
data continuità, la qualità di procuratore della parte nei cui
confronti è stata pronunziata la sentenza impugnata non abilita il suo
titolare alla proposizione dell’impugnazione in proprio, neanche quando
si controverta unicamente sul punto delle spese processuali, salvo che
lo stesso procuratore non ne sia dichiarato antistatario ed i motivi
delle proposte censure attengano alla concessione della distrazione
(Cass., n. 20321 del 2005; n. 4973 del 1993; n. 7597 del 1990).Pertanto,
resta preclusa al difensore distrattario l’impugnazione in proprio, con
riferimento alla pronuncia sulle spese, quando essa attenga alla loro
adeguatezza, ovvero all’an, poichè in questa ipotesi l’unica
legittimata a sollevare doglianze in merito è la parte rappresentata,
quale soggetto comunque obbligato, nel rapporto con il professionista,
a soddisfarlo delle sue pretese (Cass. n. 16717 del 2008, n. 11566 del
2008). Il difensore che ha chiesto la distrazione diviene, infatti,
parte del giudizio solo nel caso in cui sorga controversia sul
provvedimento che ha disposto la distrazione o se il giudice a quo
abbia omesso di provvedere sull’istanza (Cass., n. 20121 del 2005; n.
13290 del 2003; n. 12204 del 2003).In relazione a detto ricorso
non deve essere resa pronuncia sulle spese, in quanto la Presidenza del
Consiglio dei ministri non ha svolto attività difensiva in riferimento
al medesimo.3.- Preliminarmente, va ribadito che alla pronuncia
di accoglimento parziale per manifesta fondatezza, secondo la
consolidata giurisprudenza di questa Corte, non ostano le conclusioni
del F.G., poichè che la decisione del ricorso presenta aspetti
d’evidenza compatibili con l’immediata decisione, sia pure in senso
difforme a dette conclusioni (Cass. n. 5704 del 2008; n. 23842 e n.
13748 del 2007).I motivi sintetizzati nel p. 1, da esaminare
congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono
manifestamente fondati entro i termini e nei limiti di seguito
precisati.Alle questioni poste con detti mezzi va data soluzione ribadendo i seguenti principi, più volti affermati da questa Corte:
il
giudice italiano deve interpretare la L. n. 89 del 2001 in modo
conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte
europea, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa
possibile dal testo della L. n. 89 del 2001; qualora ciò non sia
possibile ed egli dubiti della compatibilità della norma interna con la
disposizione convenzionale interposta, deve investire la Corte
costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale
rispetto all’art. 117 Cost., comma 1, restando escluso che possa
procedere alla “non applicazione” della prima (Corte cost. n. 348 e n.
349 del 2007; in riferimento alla legge in esame Cass. S.U. n. 1338 del
2004);la precettività, per il giudice nazionale, della
giurisprudenza della Corte EDU non concerne il profilo relativo al
moltiplicatore della base di calcolo per l’equa riparazione, essendo
per il primo vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett.
a), ai sensi del quale è rilevante soltanto il periodo eccedente il
termine ragionevole, in virtù di una modalità di calcolo che non incide
sulla complessiva attitudine di detta legge ad assicurare l’obiettivo
di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata
de processo (per tutte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 1566 e n. 1354 del
2008; n. 23844 del 2007);i criteri di determinazione del
quantum della riparazione applicati dalla Corte europea, che ha fissato
un parametro tendenziale di Euro 1.000,00/Euro 1.500,00 per anno, non
possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia
apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della
singola vicenda (quali:l’entità della “posta in gioco”,
apprezzata in comparazione con la situazione economico-patrimoniale
della parte, che questa ha l’onere di allegare e dedurre; il “numero
dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del
procedimento”; il comportamento della parte istante, sicchè rileva
anche il ritardo c/o la mancata presentazione della cd. istanza di
prelievo, la quale non incide sul termine di durata ragionevole, ma
bene può essere assunto come sintomo di uno attenuato interesse per la
controversia; per tutte, Cass. n. 4572 e n. 3515 del 2009; n. 1630 del
2006), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, a quelle da
ultimo richiamate, aggiungi Cass. n. 6039 del 2009; n. 6898 del 2008);in
virtù della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo,
qualora non emergano, elementi concreti in grado di far apprezzare la
peculiare rilevanza del danno non patrimoniale (costituiti appunto, tra
gli altri, dal valore della controversia, dalla natura della medesima,
da apprezzare in riferimento alla situazione economico-patrimoniale
dell’istante, dalla durata del ritardo, dalle aspettative desumibili
anche dalla probabilità di accoglimento della domanda), l’esigenza di
garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non
indebitamente lucrativa, alla luce delle quantificazioni operate dal
giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in
esame, la quantificazione, deve essere, di regola, non inferiore ad
Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella
sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui
confermati, con la precisazione che tale parametro va osservalo in
relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo
aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di L. 1.000,00,
per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale
periodo comporta un evidente aggravamento del danno;le norme
disciplinatrici della fattispecie non permettono di riconoscere una
ulteriore somma arbitrariamente indicata in una data entità, svincolata
da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della
natura della controversia, poichè il giudice europeo ha affermato che
una somma più elevata rispetto al suindicato parametro va riconosciuta,
qualora la controversia rivesta una certa importanza, facendo un elenco
esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali, senza
che ciò implichi alcun automatismo, significando soltanto che dette
cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di
una certa importanza (Cass. n. 18012 del 2008); quindi, il giudice del
merito può attribuire una somma maggiore, qualora riconosca la causa di
particolare rilevanza per la parte, restando escluso uno specifico
obbligo di motivazione e/o di pronuncia sul punto, da ritenersi
quest’ultima implicita nella liquidazione del danno, con la conseguenza
che, se il giudice non si pronuncia sul cd. bonus, ciò sta a
significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da
riconoscerlo (così, tra le altre, Cass. n. 7073, n. 6039 e n. 3515 del
2009; n. 18012 e n. 6898 del 2008).In applicazione di detti
principi, le censure in esame sono manifestamente fondate nella parte
in cui il decreto ha liquidato l’equa riparazione nella misura di Euro
500,00 per anno di ritardo, in considerazione del non rilevante valore
economico della causa.Infatti, si tratta di circostanza certo
valutabile e che, tuttavia, legittimava una riduzione del parametro
minimo della Corte EDU che, secondo l’orientamento di questa Corte, per
essere ragionevole non poteva scendere al di sotto di Euro 750,00 per
anno di ritardo.In relazione alle censure accolte, il decreto
deve essere cassato con conseguente assorbimento dei motivi concernenti
le spese, dovendo comunque esserne effettuata la riliquidazione – e la
causa può essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto.Pertanto, in applicazione dello standard
minimo CEDU – che nessun argomento del ricorso impone e consente di
derogare in melius -, individuato nella somma di Euro 750,00 per
ciascun anno di ritardo il parametro di indennizzo del danno non
patrimoniale (la motivazione della Corte d’appello sullo scarso
interesse per il giudizio non è stata adeguatamente censurata e
permette di applicare detto parametro), va riconosciuta all’istante la
complessiva somma di Euro 500,00, in relazione agli anni eccedenti il
triennio (mesi otto, come incensurabilmente accertato dal giudice del
merito), oltre interessi legali dalla domanda al saldo.Le
spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza –
distratte in favore del difensore, per dichiarazione di anticipo –
quanto al giudizio di merito e per la metà quanto alla presente fase,
dichiarando compensata la residua parte, sussistendo giusti motivi, in
considerazione del parziale accoglimento del ricorso.P.Q.M.
La
Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dall’avv. M. A.L., in
proprio, quale antistatario; accoglie i primi sei motivi ed il decimo
motivo del ricorso, per quanto di ragione, nei termini precisati in
motivazione – assorbiti i restanti motivi, concernenti la liquidazione
delle spese del giudizio -, cassa il decreto impugnalo e, decidendo nel
merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei ministri a
corrispondere alla ricorrente la complessiva somma di Euro 500,00,
oltre interessi legali dalla domanda al saldo ed oltre alle spese
processuali – per la metà, quanto alla presente fase, compensandosi la
restante parte – distratte in favore dell’avv. M.A.L. e liquidate,
quanto al giudizio di merito, in Euro 905,00 (di cui Euro 385,00 per
diritti ed Euro 420,00 per onorari) e, quanto al giudizio di
legittimità – per la metà, dichiarando compensata la residua parte – in
Euro 450,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, oltre spese generali ed
accessori di legge.Dispone che la Cancelleria provveda alle comunicazioni di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5.