Equa riparazione allargata
Sì all’equa riparazione anche se il cittadino, parte in un processo lumaca, non ha fatto istanze per sollecitare la definizione del giudizio. È quanto affermato dalla Cassazione, che con la sentenza n. 321 del 10 gennaio 2008 ha accolto il ricorso di un dipendente pubblico il cui giudizio di fronte al Tar, quindi solo il primo grado, era durato più di cinque anni. La prima sezione civile ha completamente ribaltato la decisione della Corte d’appello di Roma che aveva fatto dell’inerzia dell’uomo il motivo per non accordare nessun risarcimento. Una tesi, questa, che non ha convinto la prima sezione civile della Suprema corte dal momento che, ha precisato, i giudici di merito hanno sbagliato a escludere il patema d’animo «alla luce dei dati fattuali e di valutazioni (la sospensione medio tempore del provvedimento, l’inerzia nel non sollecitarne la conclusione) che avrebbero potuto semmai consentire una riduzione del quantum rispetto agli standard Cedu ovvero che non avrebbero potuto avere incidenza alcuna sulla valutazione del giudice dell’equa riparazione fatto salvo il caso di temerarietà del provvedimento». Una decisione, quella presa dai giudici del Palazzaccio, che potrebbe pesare molto sulle casse dello stato: basti pensare all’altissimo numero di ricorsi, decisi in tempi non ragionevoli, che vengono contestati, dal punto di vista della durata, soltanto alla fine. Ora la causa tornerà ai giudici romani, i quali dovranno valutare l’entità del risarcimento da accordare all’ex dipendente pubblico. Potrebbe essere leggermente inferiore ai canoni standard sanciti dalla Cedu (mille euro per ciascun anno dell’intero procedimento) dal momento che il cittadino non si era attivato davanti al Tar per una più celere definizione del giudizio. Infatti, non aveva presentato neppure un’istanza di prelievo per sollecitare il tribunale amministrativo. A pochi giorni dalla sentenza n. 14, con la quale era stato stabilito che in Italia l’equa riparazione può essere accordata soltanto per gli anni eccedenti la giusta durata del processo, la Cassazione è tornata sull’argomento con una decisione, questa volta, favorevole a chi ha subito danni dalla giustizia lumaca.