Equitalia, per la cartella illegittima spese di lite senza compensazione
Qualora vi sia soccombenza dell’ente, per nullita’ della cartella esattoriale, la condanna alle spese e’ automatica.Con la recentissima sentenza del 10 novembre, n. 23459, la Corte di Cassazione affronta il tema delle spese processuali in capo all’ente concessionario per la riscossione, in caso di cartella esattoriale illegittima.
I Giudici dell’appello, infatti, avevano dichiarato, in riforma della sentenza del G. pace (che aveva compensato le spese), la nullità della cartella esattoriale impugnata, condannando la citata Equitalia a restituire all’appellante la somma corrisposta dal contribuente in dipendenza di preavviso di fermo amministrativo, e condannando la stessa società, in solido con il Comune di Roma, alla rifusione delle spese dei due gradi di giudizio. Sostanzialmente- come evidenzia la Cassazione- con i tre motivi di gravame la ricorrente (Equitalia) intende far valere l’erroneità della ritenuta soccombenza in relazione al motivo per cui l’appello era stato accolto, riferibile ad un comportamento omissivo imputabile esclusivamente al suddetto Comune.
In particolare, Equitalia espone i seguenti motivi:
– nullità della sentenza del Tribunale nella parte relativa alla condanna alle spese di giudizio di essa società quale concessionario della riscossione per violazione dell’art. 91 c.p.c, in relazione agli arti 3, 24 e 24 Cost. (avuto riguardo all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c);
– insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c .
– nullità della sentenza impugnata nella parte relativa alla condanna alle spese del Concessionario della riscossione per violazione dell’art. 12 del d.P.R. n. 602 del 1973, degli artt. 201 e 206 c.d.s. e con riferimento all’art. 3 Cost. (in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c).
La S. C. evidenzia che, sin dal primo grado di giudizio, il contribuente aveva richiesto l’annullamento della cartella esattoriale e della relativa ingiunzione di pagamento, sulla scorta di comportamenti asseriti come illegittimi posti in essere sia dal Comune di Roma e che dal Concessionario esattoriale.
In tal caso al soggetto esattore deve riconoscersi, insieme all’ente impositore titolare della pretesa contestata, la concorrente legittimazione passiva, con la conseguenza che l’opposizione deve essere proposta anche nei confronti del medesimo esattore, che ha emesso la cartella esattoriale ed al quale va riconosciuto l’interesse a resistere anche per gli innegabili riflessi che un eventuale accoglimento dell’opposizione potrebbe comportare nei rapporti con l’ente.
Secondo la giurisprudenza costante della Cassazione (v., ad es., Cass. n. 19456/2008 e Cass. n. 20335/2004), la soccombenza costituisce un’applicazione del principio di causalità, per il quale non è esente da onere delle spese la parte che col suo comportamento abbia provocato la necessità del processo, prescindendosi dalle ragioni – di merito o processuali – che l’abbiano determinata e dagli specifici motivi di rigetto della loro pretesa.
La condanna alle spese in via solidale della società concessionaria, disposta in sede di gravame, appare alla Cassazione come una logica conseguenza, oltre che dei principi precedentemente esposti, della condotta processuale ed extraprocessuale della Equitalia, nonché quale effetto ineludibile della pronuncia (incontestata sul punto) di condanna della medesima alle restituzioni.
Pertanto- conclude la S.C.- avendo il giudice di appello, accolto l’impugnazione nei confronti di entrambi gli appellanti, esso ha fatto corretta applicazione del principio generale della soccombenza previsto dall’art. 91 c.p.c, senza necessità di dover adottare in proposito una specifica motivazione.
Oltretutto, in tema di spese processuali, la giurisprudenza essenzialmente consolidata ha precisato che la statuizione sulle spese adottata dal giudice di merito è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione del divieto, posto dall’art. 91 c.p.c, di porre anche parzialmente le spese a carico della parte vittoriosa o nel caso di compensazione delle spese stesse fra le parti adottata con motivazione illogica o erronea.
Invece, in linea generale e, in particolare, ove il giudice, pur se in assenza di qualsiasi motivazione, le abbia poste a carico del soccombente, anche disattendendone l’espressa sollecitazione a disporne la compensazione, la statuizione è insindacabile in sede di legittimità, stante l’assenza di un dovere del giudice di motivare il provvedimento adottato.
In sintesi, la Cassazione ha ribadito che, con riferimento all’art. 91 c.p.c. e nei giudizi disciplinati dall’art. 92, comma 2, c.p.c., non occorre l’indicazione da parte del giudice dei giusti motivi al fine di poter disporre le spese a carico della parte soccombente (nella specie rappresentata dall’Equitalia).