Errore giudiziario: quale danno risarcibile?
La corte di appello di Brescia aveva liquidato ad un cittadino detenuto ingiustamente, una somma per danno biologico, una somma per danno esistenziale (consistente nel deterioramento dei già difficili rapporti familiari, specie con la figlia) e una somma per danno morale.
Il Ministero, tra i motivi di ricorso, ne espone uno proprio sulla presunta illegittimità della liquidazione del danno esistenziale “essendo lo stesso soltanto un ordinario danno non patrimoniale, chiamato con altro nome”.
La Corte precisa al riguardo che non si ha alcuna duplicazione di liquidazione, ma una diversificazione delle voci costituenti un unico danno, che viene quindi liquidato con una somma costituita da due diverse e distinte operazioni di valutazione; in sostanza la somma complessiva, anche se non esplicitamente unificata deriva da due addendi, entrambi giustificati come denominazione e come liquidazione.
Il Collegio sul punto ribadisce il principio (sentenza 18 marzo 2009, n. 22688) per cui, se è vero che le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza 11 novembre 2008, n. 26972 hanno statuito che non è ammissibile nel nostro ordinamento il danno definito ‘esistenziale’, e che non può essere liquidato separatamente sol perché diversamente denominato, non è men vero che non può non tenersi conto nella liquidazione del danno non patrimoniale, nella sua globalità, di tutte le peculiari sfaccettature di cui si compone nel caso concreto, quali: l’interruzione delle attività lavorative e di quelle ricreative, l’interruzione dei rapporti affettivi e di quelli interpersonali, il mutamento radicale peggiorativo e non voluto delle abitudini di vita.
Questa decisione sottolinea l’importanza non tanto della denominazione della categoria di danno, che rimane unica (non patrimoniale) quanto della necessaria liquidazione di ogni pregiudizio subito e rientrante in quella categoria. Ad avviso dello scrivente, senza addentrarsi nella letteratura giuridica sulle tipologie di danni e se sia o non ammesso un terzo tipo di danno (esistenziale), risulta fondamentale, per l’avvocato, la completa allegazione di tutti i pregiudizi, la rappresentazione al giudice di ogni conseguenza subita e della relativa prova del danno non patrimoniale, senza preoccuparsi tanto di indicare le voci di danno, le categorie, i titoli (esistenziale o non). Meglio i contenuti senza titoli che non chiedere un danno esistenziale senza specificare il tipo di pregiudizio subìto. Sarà il giudice ad accertare se quei pregiudizi siano meritevoli di tutela e quindi risarcibili e con quale voce o classificazione. Nel caso di specie, il danno da interruzione dei rapporti affettivi e di quelli interpersonali è stato dedotto e riconosciuto, e liquidato sotto il profilo del danno non patrimoniale come voce autonoma, ma in considerazione di una ritenuta sfaccettatura del danno non patrimoniale globalmente inteso.
Sul danno conseguente alla detenzione.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso del danneggiato, riconoscendo il risarcimento anche del danno conseguente alla detenzione, negato dalla corte di appello in base all’inammissibilità di doppia liquidazione, in base al criterio risarcitorio e a quello equitativo, avendo essa scelto quello risarcitorio.
La Corte chiarisce che la riparazione per l’errore giudiziario, come quella per ingiusta detenzione, non ha natura di risarcimento del danno ma di semplice indennità o indennizzo in base ai principi di solidarietà sociale per chi sia stato ingiustamente privato della libertà personale o ingiustamente condannato. Anche se ora l’art.643 c.p.p. non contempla più l’aggettivo ‘equa’ (riparazione), non è inibito al giudice della riparazione fare riferimento anche a criteri di natura risarcitoria che possono validamente contribuire a restringere i margini di discrezionalità inevitabilmente esistenti nella liquidazione di tipo esclusivamente equitativo, limitandolo alle voci non esattamente quantificabili.
In pratica, secondo la Corte di Cassazione, nella riparazione per errore giudiziario, il giudice può utilizzare sia il criterio risarcitorio sia quello equitativo (come si trattasse di un tertium genus rispetto alle due forme di ristoro, come del resto più di un autore ha ravvisato).
La proclamata incompatibilità dell’adozione del criterio risarcitorio e di quello equitativo, pena una inammissibile duplicazione di liquidazione, viene meno, ragionevolmente, in relazione a danni non quantificabili con esattezza, come per esempio quello arrecato dalla condanna ai rapporti tra padre e figlia, per il quale la liquidazione dovrà tener conto, con giudizio esclusivamente equitativo, del danno differenziale. In conclusione, il danno conseguente alla detenzione va liquidato autonomamente anche in ossequio alla dizione letterale dell’art. 643 c.p.p. e nella liquidazione andrà utilizzato un criterio equitativo senza i limiti stabiliti dall’art. 315 c.p.p., per la riparazione del danno da ingiusta detenzione.