Errore nelle tabelle millesimali: ammessa l’azione di indebito arricchimento
Con la sentenza 10 marzo 2011, n. 5690 la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione ha affrontato la questione relativa alla proposizione dell’azione di indebito arricchimento nel caso di un condomino che, giovandosi di un errore delle tabelle millesimali, non ha effettuato il pagamento delle spese stabilite per i lavori deliberati dall’assemblea condominiale.
In tale fattispecie, il Condominio, accortosi dell’errore nel calcolo tabellare, ha promosso azione di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c., al fine di ottenere la partecipazione alle spese del condomino escluso dalla suddivisione.
Condividendo la precedente pronuncia della Corte territoriale, i Giudici della Suprema Corte hanno innanzitutto evidenziato la correttezza dell’azione avanzata dal Condominio, in quanto l’unico rimedio per ottenere l’indennizzo per la diminuzione patrimoniale subita dai condomini, nonché la partecipazione alle spese da parte del condomino erroneamente lasciato fuori dalla ripartizione delle tabelle millesimali, era l’azione di indebito arricchimento.
Altra azione esperibile in sede giudiziaria, sarebbe stata quella di revisione delle tabelle millesimali, ma in realtà, una modifica delle stesse non avrebbe prodotto effetti se non dal momento del passaggio in giudicato della decisione, e comunque tali esiti non avrebbero avuto portata retroattiva. Ciò è quanto stato statuito da giurisprudenza consolidata (Cass. 8 settembre 1994, n. 7696), secondo cui, la sentenza di accoglimento della domanda di revisione o modifica dei valori proporzionali di piano nei casi previsti dall’art. 69 disp. att. cod. civ., non ha natura dichiarativa bensì costitutiva.
Pertanto, l’unica azione proponibile, era quella di indebito arricchimento, ex art. 2041 c.c..
Inoltre, non essendo applicabile nel caso di specie la disposizione di cui all’art. 1227 c.c. relativa al concorso del fatto colposo del creditore (legge 23 luglio 2003, n. 11454), l’inerzia del ricorrente non avrebbe potuto escludere il fondamento della azione di indebito arricchimento nè a ridurre la portata dell’indennizzo dovuto.
Per tali ragioni, i Giudici della Suprema Corte hanno ribadito il principio, già espresso con la precedente pronuncia 23 luglio 2003, n. 11454 e 20 marzo 1997, n. 2484 secondo cui, “in tema di ingiustificato arricchimento, una volta accertata l’unicità del fatto da cui derivano la locupletazione di un soggetto e la correlativa diminuzione patrimoniale di un altro, e l’assenza di una causa idonea a giustificarle, la semplice inerzia dell’impoverito, ancorché riconducibile a difetto di diligenza (nella specie nemmeno specificamente indicata, per come emerge dalla sentenza di appello, dall’odierno ricorrente in sede di appello) nel ridurre la portata della subita diminuzione patrimoniale, ove ciò gli sia possibile, non esonera l’arricchito dall’obbligo di indennizzare la controparte né diminuisce l’entità dell’indennizzo dovuto, non trovando applicazione in materia di arricchimento, per la diversità dei rispettivi presupposti, la norma dettata, in tema di risarcimento del danno, dall’art. 1227 c.c., che impone al danneggiato di attivarsi per evitare le conseguenze ulteriori del fatto dannoso.”
Infine, con la decisione in esame, la Terza Sezione ha puntualizzato che la misura dell’indennizzo, relativa all’ammontare del risparmio ottenuto dal condomino resistente, non è stata contestata da quest’ultimo.