Esame avvocato: legittima la valutazione alfanumerica
Non è necessario che la commissione esaminatrice supporti l’indicazione del voto numerico con un’ulteriore motivazione. E’ quanto ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 175 del 8 giugno 2011, con la quale si evidenzia come, in base al dominante indirizzo del Consiglio di Stato, la motivazione espressa numericamente rappresenterebbe in sé una «motivazione sintetica», idonea a rendere palese la valutazione compiuta dalla commissione, esternata attraverso la graduazione del voto e la omogeneità del giudizio attribuito all’elaborato dai suoi componenti in base a criteri predeterminati.
Ciò sarebbe sufficiente, secondo il giudice delle leggi, a consentire il sindacato giurisdizionale sul provvedimento di non ammissione alle prove orali, nel caso di discordanza di giudizi tra i commissari e di contraddizione, nella attribuzione del voto, tra specifici ed obiettivi elementi di fatto e i criteri di massima prestabiliti dalla commissione esaminatrice.
L’art. 17-bis, comma 2, del r.d. n. 37 del 1934, e successive modificazioni, nel testo vigente stabilisce che «Per ciascuna prova scritta ogni componente delle commissioni d’esame dispone di dieci punti di merito; alla prova orale sono ammessi i candidati che abbiano conseguito, nelle tre prove scritte, un punteggio complessivo di almeno 90 punti e con un punteggio non inferiore a 30 punti per almeno due prove».
L’art. 23, quinto comma, del medesimo testo normativo dispone che «La commissione assegna il punteggio a ciascuno dei tre lavori raggruppati ai sensi dell’art. 22, comma 4, dopo la lettura di tutti e tre, con le norme stabilite nell’articolo 17-bis».
Infine, l’art. 24, primo comma, del r.d. n. 37 del 1934 statuisce che «Il voto deliberato deve essere annotato immediatamente dal segretario, in tutte lettere, in calce al lavoro. L’annotazione è sottoscritta dal presidente e dal segretario».
Come si vede, il criterio prescelto dal legislatore per la valutazione delle prove scritte nell’esame da avvocato è quello del punteggio numerico, costituente la modalità di formulazione del giudizio tecnico-discrezionale finale espresso su ciascuna prova, con indicazione del punteggio complessivo utile per l’ammissione all’esame orale.
Secondo la Corte tale punteggio, già nella varietà della graduazione attraverso la quale si manifesta, esterna una valutazione che, sia pure in modo sintetico, si traduce in un giudizio di sufficienza o di insufficienza, a sua volta variamente graduato a seconda del parametro numerico attribuito al candidato, che non solo stabilisce se quest’ultimo ha superato o meno la soglia necessaria per accedere alla fase successiva del procedimento valutativo, ma dà anche conto della misura dell’apprezzamento riservato dalla commissione esaminatrice all’elaborato e, quindi, del grado di idoneità o inidoneità riscontrato.
La Corte Costituzionale, quindi, dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 17-bis, comma 2, 23, quinto comma, 24, primo comma, del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative e di attuazione del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore), come novellato dal decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112 (Modifiche urgenti alla disciplina degli esami di abilitazione alla professione forense), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003, n. 180, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 4, 24, 41, 97 e 117 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia con le ordinanze indicate in epigrafe.