Esame di maturità: criteri di valutazione non sono motivabili
Una liceale respinta all’esame di maturità impugna il giudizio di non maturità (voto 51/100) pronunziato all’unanimità dalla Commissione esaminatrice.
In particolare, tra le altre censure mosse alla determinazione della Commissione, la ricorrente lamenta la carenza assoluta di motivazione in relazione al correlativo obbligo derivante dal combinato disposto dell’art. 3, L. n. 241/1990 (motivazione del provvedimento) e dell’art. 13 comma 9 dell’ordinanza ministeriale del 15 marzo 2007, n. 26, contenente le istruzioni e modalità operative per lo svolgimento degli esami di maturità dell’anno scolastico 2006/2007.
Tale ordinanza, come sottolineato dal T.A.R. Piemonte, sembrerebbe imporre alla commissione un onere motivazionale anche per l’atto interno di fissazione dei criteri di correzione e valutazione delle prove scritte. Questo, infatti, il tenore letterale della disposizione ministeriale: “In sede di riunione preliminare, o in riunioni successive, la commissione stabilisce i criteri di correzione e valutazione delle prove scritte e valuta se ricorrano le condizioni per procedere alla correzione della prima e seconda prova scritta per aree disciplinari ai sensi dell’art. 15. Le relative deliberazioni vanno opportunamente motivate e verbalizzate” (art. 13, comma 9, ordinanza ministeriale 15 marzo 2007, n. 26).
A tal proposito, il Collegio chiarisce che “in sede di esame di maturità, la predeterminazione di criteri di correzione e valutazione non necessita di particolare motivazione, costituendo una operazione che consente, a valle, la verifica della necessaria correlazione tra i giudizi finali e i predeterminati criteri di valutazione”.
Tale conclusione si inferisce dalla portata dello stesso obbligo di motivazione del provvedimento sancito dall’art. 3 della L. 241/1990, disposizione che, alla luce della consolidata interpretazione fornita dalla giurisprudenza amministrativa, si riferisce al solo atto finale conclusivo del procedimento, destinato per sua natura a produrre effetti esterni, e non dell’atto che, come quello di predeterminazione dei criteri di valutazione, costituisce atto interno, di natura endoprocedimentale (in tal senso T.A.R. Sardegna, sez. I, 30 dicembre 2009, n. 2692).
Né può valere a destituire di fondamento il predetto principio la formulazione dell’ordinanza ministeriale indicata dalla ricorrente, in quanto norma di rango inferiore rispetto alla L. n. 241/1990.
I Giudici del T.A.R. ritengono infatti che i criteri di valutazione stabiliti nell’ambito dell’esame di Stato (aderenza alla traccia e conoscenza specifica degli argomenti richiesti, padronanza della lingua, capacità logico espressive, coesione e coerenza argomentativa, capacità di elaborazione critica e originalità, comprensione generale del brano proposto, scelta lessicale e resa corretta in lingua italiana, ecc.) costituiscono parametri di motivazione del giudizio finale, per cui pretenderne la motivazione sarebbe come pretendere la motivazione del motivo della valutazione finale (in tal senso T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, sentenza 5 marzo 2003, n. 359).
In altre parole, secondo l’opinione del Collegio piemontese, tali criteri non sono motivabili se non con l’esigenza di verificare la maturità e la preparazione complessiva del candidato, essendo la loro motivazione è in re ipsa.