Esecuzione simulata del preliminare di vendita e delitto di truffa
Il quesito:
- Sussiste il delitto di truffa nel
caso di simulazione della volontà di dare esecuzione ad un preliminare
di vendita non seguito dalla materiale sottoscrizione del contratto?
Il caso
Tizio,
simula la vendita a Caio di un appartamento allo stesso locato; più in
particolare, egli stipula un contratto preliminare di vendita con
riserva della proprietà per conto del padre e da lui non personalmente
sottoscritto; in tal modo induce in errore l’acquirente, facendogli
credere che, al momento della conclusione del contratto definitivo,
l’immobile sarebbe passato in sua proprietà.
In realtà, al
momento di perfezionare il contratto definitivo, una volta deceduto il
padre, Tizio cedeva l’immobile ad una terza persona, incamerando il
denaro versatogli da Caio quale pagamento delle singole rate del prezzo
di vendita.
Per tale motivo, il Tribunale di Padova, in data 26
ottobre 2004, dichiarava Tizio responsabile del delitto di truffa (art.
640 c.p.).
La pronuncia veniva confermata anche dalla Corte d’Appello di Venezia in data 21 luglio 2005.
Avverso
tale pronuncia ricorre per Cassazione Tizio, affermando che per la
sussistenza del delitto di truffa non è sufficiente un comportamento
meramente equivoco da parte dell’imputato, ma una condotta avente le
caratteristiche manipolative della realtà esterna, tale da incidere
sulla sfera volitiva del soggetto passivo.
Senza considerare che
il ricorrente non aveva partecipato direttamente alla stipulazione del
contratto preliminare, limitandosi a gestire la riscossione delle rate
del pagamento del prezzo dell’immobile.
La normativa Art. 640 (Truffa) Chiunque, La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a 1.549:
Il delitto è punibile a |
Inquadramento della problematica
Secondo
la corrente giurisprudenziale dominante, è configurabile il reato di
truffa, nella specie di truffa contrattuale, quando il “dolus in contrahendo”
si manifesta attraverso artifici o raggiri che, intervenendo nella
formazione del negozio, inducono la controparte a prestare il proprio
consenso, ovvero quando sussiste un rapporto immediato di causa ad
effetto tra il mezzo o l’espediente fraudolentemente usato dall’agente
ed il consenso ottenuto dal soggetto passivo, sì che questo risulta
viziato nella sua libera determinazione.
In altre parole,
ricorrono gli elementi della truffa contrattuale tutte le volte in cui
uno dei contraenti pone in essere artifici o raggiri diretti a tacere o
a dissimulare fatti o circostanze tali che, se conosciuti, avrebbero
indotto la controparte ad astenersi dal concludere il contratto.
Ciò precisato, i giudici della Seconda Sezione Penale si domandano se possa ritenersi integrato il delitto ex
art. 640 c.p., nella specie di truffa contrattuale, nel caso in cui
Tizio abbia simulato la volontà di stipulare un “preliminare” di
vendita dell’immobile, con riserva della proprietà, non seguito dalla
stipulazione del contratto definitivo, con conseguente incameramento
del denaro ottenuto come pagamento delle rate del prezzo di vendita.
La soluzione accolta dalla Suprema Corte
-
Al
fine della realizzazione del delitto di truffa non è sufficiente la
tenuta di una condotta qualsiasi che determini un errore in capo al
soggetto passivo ma è necessario che tale errore si realizzi attraverso
le specifiche modalità degli artifizi o raggiri, come espressamente
formulato dalla norma che si commenta.
-
Per
“artifizio” dobbiamo intendere l’attività diretta a far apparire
esternamente come vera una situazione non corrispondente alla realtà,
ovvero tale da simulare una situazione inesistente o dissimulatrice di
una situazione esistente, mentre per “raggiro” si intende la condotta
diretta a produrre un falso convincimento in capo alla vittima,
ottenuto mediante ragionamenti, discorsi, parole o argomentazioni (i).
-
Secondo
l’opinione dominante in dottrina, al fine della sussistenza del delitto
di cui all’art. 640 c.p. non si necessita di una vera e propria “messa
in scena”, alternatrice della realtà esterna, essendo sufficiente anche
una semplice menzogna ingannatrice, sempre che essa sia sorretta da una
adeguata argomentazione (ii).
-
Dal
punto di vista dell’elemento psicologico del reato, la fattispecie de
qua è punibile a titolo di dolo generico, rappresentato dalla coscienza
e volontà di indurre, mediante gli artifizi o raggiri di cui sopra,
taluno in errore, determinandolo, in tal modo, ad un atto di
disposizione patrimoniale con altrui danno ed ingiusto profitto, per sé
o altri. Appare evidente che il dolo, in conformità con le regole
generali, dovrà sussistere al momento della condotta, ovvero dovrà
trattarsi di dolo iniziale, con la conseguenza che un pentimento
sopravvenuto non sarà idoneo a far venire meno l’elemento soggettivo
già venuto ad esistenza.
-
Orientamento seguito anche dalla costante giurisprudenza di legittimità, secondo la quale: “Anche
in assenza di una qualsiasi messa in scena, la stipula di un contratto
preliminare di vendita con riserva della proprietà al venditore sino al
pagamento dell’intero prezzo, può rappresentare raggiro idoneo ove si
accompagni al precostituito proposito di non adempiere, sufficiente ad
integrare, sul piano del dolo, l’elemento intenzionale del reato” (iii).
-
Nella specie, secondo il giudice nomofilattico, la simulazione da parte di Tizio
della volontà di dare esecuzione al contratto concluso con la sua
personale e determinante partecipazione – costituita dalla gestione
degli affari del padre – e direttamente gestito nella fase esecutiva –
in cui Tizio aveva imputato i pagamenti effettuati dalla persona offesa
anche a titolo di “anticipo” sul prezzo di vendita – deve essere ragionevolmente individuata come un raggiro idoneo
ad indurre in errore Caio sul fatto che, al momento dell’integrale
pagamento delle rate pattuite, avrebbe ottenuto il trasferimento della
proprietà dell’immobile.
i S. Marani – P. Franceschetti, I reati contro il patrimonio, Padova, 2006, 375.
ii
F. Mantovani, Delitti contro il Patrimonio, Padova, 2002, 192. Secondo
l’autore non sono sufficienti a costituire truffa penalmente rilevante:
a) il mero silenzio; b) il silenzio violatore dell’obbligo di
informare; c) lo sfruttamento di un preesistente stato di errore; d) la
nuda menzogna.
iii Cass. pen., Sez. II, 25 novembre 1997, n. 12052, Di Santo.