Esito positivo dell’intervento ma assenza del consenso del paziente: è lecito il risarcimento
La Corte di Cassazione, della Terza Sezione, n. 2847 del 9 febbraio
2010 ha stabilito che il paziente che non ha dato il consenso
all’intervento, ha diritto ad essere risarcito del danno non
patrimoniale subito nonostante l’esito dell’operazione chirurgica sia
stato positivo.
Il paziente, però, al fine di ottenere il risarcimento del danno
alla salute patito, deve provare che se avesse avuto tutte le
informazioni necessarie in merito ai possibili rischi non avrebbe
comunque accettato di sottoporsi all’intervento.
Secondo gli Ermellini è sufficiente la sola diagnosi del
professionista affinché si instauri un rapporto contrattuale con il
paziente. “Ne consegue che effettuata la diagnosi in esecuzione del
contratto, l’illustrazione al paziente delle conseguenze (certe o
incerte che siano, purché non del tutto anomale) della terapia o
dell’intervento che il medico consideri necessari o opportuni ai fini
di ottenere, quante volte sia possibile, il necessario consenso del
paziente all’esecuzione della prestazione terapeutica, costituisce
un’obbligazione il cui adempimento deve essere provato dalla parte che
l’altra affermi inadempiente, e dunque dal medico a fronte
dell’allegazione di inadempimento da parte del paziente”.
La Cassazione ha inoltre ribadito che il diritto alla salute e
quello all’autodeterminazione dell’ammalato sono due concetti
differenti(cfr. Cass. n. 10741/2009 e n. 18513/2007).
Il diritto all’autodeterminazione “rappresenta una forma di
rispetto per la libertà dell’individuo e un mezzo per il perseguimento
dei suoi migliori interessi, che si sostanzia non solo nella facoltà di
scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma altresì
di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di
interromperla, atteso il principio personalistico che anima la nostra
Costituzione, la quale vede nella persona umana un valore etico in sé e
ne sancisce il rispetto in qualsiasi momento della sua vita e
nell’integralità della sua persona in considerazione del fascio di
convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le
sue determinazioni volitive” (Cass. n. 21748/2007).
La violazione del dovere d’informazione nel campo della tutela
terapeutica fa scattare la risarcibilità del danno non patrimoniale.
“Condizione di risarcibilità di tale tipo di danno è che esso varchi la
soglia della gravità dell’offesa secondo i canoni delineati dalle
sentenze delle Sezioni Unite nn. 26972 a 26974 del 2008, con le quali
si è stabilito che il diritto deve essere inciso otre un certo livello
minimo di tollerabilità, da determinarsi dal giudice nel bilanciamento
tra principio di solidarietà e di tolleranza secondo il parametro
costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico”.
La Corte di Cassazione ha anche precisato che non gioca a favore
del medico eccepire che la prova del fatto illecito – del mancato
consenso nella fattispecie in esame- dovrebbe essere fornita dal
creditore. Infatti è sufficiente il mero intervento del medico in
funzione diagnostica a far scattare il contratto con il paziente. Se
l’ammalato allega l’inadempimento del professionista è a carico del
medico dimostrare di avere rispettato l’obbligazione.