Esposizione a polveri amianto: la responsabilità del datore
Il datore di lavoro ha l’obbligo, secondo l’id quod plerumque accidit, di adoperarsi al fine di non incorrere nel comportamento omissivo degli obblighi ex contractus di cui all’articolo 2087 c.c.
La Cassazione torna su uno degli argomenti “caldi” in ambito giuslavoristico, ossia il riconoscimento del risarcimento del danno in capo al lavoratore esposto alle polveri di amianto, connesso col diritto alla tutela e sicurezza nei luoghi di lavoro (D.lgs. 81/2008, mod. int. D.lgs. 106/2009).
Con la sentenza 11 luglio 2011, n. 15156, i giudici di legittimità hanno ribadito, ricordando precedente giurisprudenza (cfr. Cass. n. 45/2009), che “dove i lavoratori dipendenti da più imprese siano presenti sullo stesso teatro lavorativo, i cui rischi interferiscano con l’opera o con il risultato dell’opera di altri soggetti (lavoratori dipendenti o autonomi), tali rischi concorrono a configurare l’ambiente di lavoro ai sensi del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 4 e 5 sicché ciascun datore di lavoro è obbligato, ai sensi dell’art. 2087 cc, ad informarsi dei rischi derivanti dall’opera o dal risultato dell’opera degli altri attori sul medesimo teatro lavorativo, e dare le conseguenti informazioni e istruzioni ai propri dipendenti”.
La vicenda portata dinanzi alla Suprema Corte prendeva “spunto” dalla richiesta di risarcimento danni (patrimoniali e non) avanzata dagli eredi di un prestatore di lavoro, il quale a causa di lunga esposizione all’amianto, aveva contratto una grave patologia alle vie respiratorie.
Tale patologia era stata riconosciuta come malattia professionale, e, pertanto, gli eredi agivano in giudizio contro il datore di lavoro per il risarcimento; in prima battuta, però, vi fu il rigetto della domanda a “causa della insussistenza del nesso eziologico tra la contratta malattia e la tipologia di lavoro svolto dal prestatore di lavoro”.
La questione, quindi, si spostava in “secondo grado”, ove, in parziale riforma della impugnata sentenza, venne riconosciuto un risarcimento dei danni derivanti da inadempimento contrattuale (ossia, ex art. 2087 c.c., inadempimento dell’obbligo di sicurezza).
Si arriva in Cassazione, ed i giudici della Corte precisano, come può leggersi in motivazione, che la responsabilità del datore di lavoro non può limitarsi alla violazione delle norme di esperienza o regole tecniche preesistenti e già collaudate, ma deve, altresì, essere estesa alla cura del prestatore di lavoro mediante l’adozione di tutte le misure e cautele che siano idonee alla tutela della integrità psico – fisica di colui che mette a disposizione della controparte la propria energia vitale.
Pertanto, a giudizio della Corte, deve riconoscersi la responsabilità dell’imprenditore che, nel caso di specie, non aveva predisposto tutte le necessarie cautele al fine di sottrarre il proprio dipendente dal rischio legato alla esposizione delle polveri di amianto.
Nella sentenza de qua si legge testualmente che “…………In proposito questa Corte ha altresì evidenziato (Cass. sez. lav., 14 gennaio 2005, n. 644), in relazione ad attività lavorativa svoltasi dal 1959 al 1971, che “in particolare, la pericolosità dell’amianto, conclamata non da ipotetici indizi o evidenti ignoranze legali, ma da vieppiù diffusi allarmi manifestati, sin da prima del periodo qui in evidenza, dalla scienza medica sui perversi effetti incidenti sul bene priM. della salute (che la Costituzione e il codice garantiscono) in caso di situazioni non occasionate da congiunture sporadiche o transitorie, ma avvalorate da attività permanenti, contigue alle fonti di diffusione delle particelle d’asbesto, riconosciute evidenti attraverso il dibattito giudiziario e la consulenza medico legale, azzera il tentativo, espresso dal ricorso, di escludere la responsabilità contrattuale dell’Ente nei confronti dei suoi dipendenti, impedendo l’accoglimento del ricorso”.