Esposizione all’amianto e benefici contributivi, la certificazione INAIL ha pieno valore probatorio
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 12823 del 10 giugno 2011, ha stabilito che il lavoratore che agisce per l’ottenimento dei benefici contributivi e pensionistici, previsti dall’art. 13, comma 8 della Legge n. 257 del 1992, ha l’onere, dopo aver provato la specifica lavorazione praticata e l’ambiente dove ha svolto per più di dieci anni (periodo in cui vanno valutate anche le pause “fisiologiche” proprie di tutti i lavoratori, quali riposi, ferie e festività) detta lavorazione, di dimostrare altresì che tale ambiente presentava una concreta esposizione al rischio alle polveri di amianto con valori limite superiori a quelli indicati nel suddetto D.Lgs. n. 277 del 1991 modificato dall’art. 3 della legge n. 257 del 1992. In particolare la Suprema Corte precisa che il Legislatore, di fronte alle difficoltà di accertamento, in sede giudiziale, della effettiva consistenza della esposizione all’amianto nelle varie realtà aziendali, ha conferito pieno valore alla certificazione dell’INAIL concernente, per ciascun lavoratore, il grado di esposizione e la sua durata rilasciata sulla base degli atti di indirizzo del Ministero del Lavoro, come mezzo di prova ai fini del beneficio in questione. Evidenzia la Corte che “appare sufficiente l’esistenza della certificazione INAIL per fondare il diritto alla maggiorazione contributiva, avendo il Legislatore delegato all’ente di previdenza professionalmente attrezzato i necessari accertamenti tecnici sul superamento della soglia di esposizione e sulla relativa durata, da effettuare peraltro necessariamente attraverso i criteri generali dettati in sede ministeriale, liberando così la fase giudiziale da verifiche lunghe e complicate” precisando che “la certificazione INAIL non costituisce prova esclusiva della esposizione qualificata, persistendo ovviamente la possibilità che questa venga dimostrata in giudizio attraverso gli ordinari mezzi di prova”. Sulla base di tali principi i Giudici di legittimità hanno respinto il ricorso di un lavoratore sottolineando come, nel caso di specie, la Corte territoriale aveva rilevato che alcunché era emerso dalle risultanze processuali che consentisse di avere contezza del livello di esposizione all’amianto, sia pure con un margine di approssimazione di ampiezza tale da indicare la presenza di un rilevante grado di probabilità di superamento della soglia prevista.