Estratto conto corrente prova limitata, chiarezza tassi di interesse, clausole anatocistiche
Con la sentenza n. 9695 depositata il 3 maggio 2011, la Corte di cassazione, in quasi trenta pagine di motivazione, ha enunciato tre importanti principio di diritto. In tema di efficacia della prova dell’estratto conto, gli Ermellini hanno stabilito che in un procedimento tra una banca e un correntista, l’estratto del conto corrente come prova, ha una efficacia limitata. Secondo gli Ermellini della terza sezione civile, essendo l’estratto di conto corrente un atto unilaterale proveniente dalla banca, esso non può costituire la prova della entità del credito che la banca vanta nei confronti del risparmiatore. Nella parte motiva della sentenza, si legge infatti che “l’estratto di conto corrente, benchè certificato ai sensi dell’art. 50 d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385, non costituisce, in caso di contestazione, di per sé prova dell’entità del credito della Banca”. Per quanto concerne le clausole anatocistiche, la Corte ha stabilito poi che “è illegittima la capitalizzazione trimestrale degli interessi su saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente, se prevista da clausole anatocistiche stipulate prima del d. lgs 342/99 e dalla delibera del CICR prevista dall’art. 25, co. 2 di tale decreto, in quanto siffatte clausole, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi, sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell’art. 1283 c.c., perchè basate su di un uso negoziale anziché normativo, mancando di quest’ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, per la convizione che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o che si reputa debba fare parte dell’ordinamento giuridico”. Infine, in tema di tassi di interesse, i giudici di legittimità, hanno infine dichiarato l’illegittimità dei tassi di interesse, delle previsioni di costi o commissioni e della disciplina della postergazione delle valute di accredito che non siano previsti in maniera espressa e per iscritto dalle parti “con analitica determinatezza – si legge dalla parte motiva della sentenza – e senza rinvio a clausole “su piazza” o equivalenti”.