Fallimento: il termine di notifica va calcolato secondo i criteri processuali
La notifica degli atti giudiziari in materia fallimentare, deve essere eseguita entro il termine stabilito dalla legge in misura non inferiore a 15 giorni prima dell’udienza stessa, da computarsi secondo le regole ordinarie previste dal codice di rito.
Così hanno disposto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che hanno esaminato “una questione di massima di particolare importanza”, con la sentenza 1° febbraio 2012, n. 1418.
Il caso riguardava un creditore che, presentata l’istanza di fallimento, aveva notificato la stessa unitamente al decreto di fissazione udienza prefallimentare a mezzo posta, nel termine di 15 giorni prima dell’udienza fissata. L’atto non è stato consegnato per assenza del destinatario, per cui è stato depositato presso l’ufficio postale. All’udienza, il difensore della società debitrice ha reso noto che non era stato rispettato il termine dilatorio di quindici giorni tra la data della notificazione del ricorso e del decreto di convocazione e quella dell’udienza. Accolto il reclamo, la Corte d’Appello ha revocato la sentenza dichiarativa di fallimento, in quanto affetta da nullità. Avverso tale sentenza il creditore ha proposto ricorso per Cassazione, e trattandosi di “una questione di massima di particolare importanza”, la controversia è stata rimessa alle Sezioni Unite.
Nell’esaminare la disciplina relativa alla notifica, i Giudici di Piazza Cavour hanno puntualizzato che il perfezionamento della notifica a mezzo del servizio postale, non sempre coincide con il materiale recapito o ritiro del piego raccomandato da parte del notificato, potendo invece coincidere, come nel caso in oggetto, con lo spirare del termine di “compiuta giacenza”.
Pertanto è essenziale calcolare il momento in cui si può considerare notificato un atto per compiuta giacenza. A tal riguardo, la legge stabilisce espressamente che: “la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al secondo comma ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore”.
Tale disposizione tutela l’interesse sia del notificante, per il quale “la notificazione si ha per eseguita” anche in mancanza di ritiro del piego depositato da parte del destinatario, che quello del notificato, che dispone di un termine congruo per il ritiro dello stesso, presso l’ufficio postale.
A tal riguardo, assume rilievo anche l’art. 155 cod. proc. civ., che sul computo dei termini, stabilisce, al comma 4, che, “se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo”, e, ai commi quinto e sesto che: “La proroga prevista dal comma 4, si applica altresì ai termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono nella giornata del sabato (comma 5). Resta fermo il regolare svolgimento delle udienze e di ogni altra attività giudiziaria, anche svolta da ausiliari, nella giornata del sabato, che ad ogni effetto è considerata lavorativa (comma 6)”.
Nel caso in esame, la lettera raccomandata con avviso di ricevimento, di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 2, è stata spedita alla debitrice in data 16 dicembre 2008, cioè nello stesso giorno del deposito del piego raccomandato presso l’ufficio postale preposto alla consegna. Calcolando i dieci giorni necessari per il perfezionamento della notificazione, dal 17 dicembre 2008, il dies ad quem di tale termine scadeva il 26 dicembre 2008, giorno festivo, per cui lo stesso deve intendersi prorogato di diritto, in forza del combinato disposto dell’art. 155 c.p.c., commi 4 e 5, al giorno 29 dicembre 2008 (lunedì), con l’ulteriore conseguenza che in questa data, realizzatasi la cosiddetta “compiuta giacenza”, si è perfezionata la notificazione del ricorso introduttivo per la dichiarazione di fallimento della società in liquidazione e del decreto di convocazione della debitrice, in ragione della “legale conoscenza” di tale atto da parte di quest’ultima (art. 149 c.p.c., comma 3).
Altra questione sollevata dalla fattispecie in oggetto, riguarda la qualifica del termine, non inferiore a quindici giorni, che deve intercorrere tra la data della notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di convocazione del debitore e quella dell’udienza.
La Suprema Corte ha rilevato che tale termine di quindici giorni è stabilito nell’interesse del debitore, essendo finalizzato a consentire allo stesso, il pieno esercizio del proprio diritto di difesa in contraddittorio con i creditori istanti per il fallimento. Si può dunque riconoscere la natura “dilatoria” del termine de quo, come del resto affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimità (sentenze nn. 1098 e 16757 del 2010).
Pertanto, il termine di quindici giorni cui alla L. Fall., art. 15, comma 3, essendo di natura “dilatoria” e “a decorrenza successiva”, deve essere computato secondo i normali criteri, escludendo il giorno iniziale e conteggiando quello finale (art. 155 c.p.c., comma 1).
In conclusione, le Sezioni Unite hanno enunciato il principio di diritto, secondo cui il termine di quindici giorni è applicabile, “ai procedimenti per la dichiarazione di fallimento pendenti alla data della sua entrata in vigore, nonchè alle procedure concorsuali e di concordato fallimentare aperte successivamente alla sua entrata in vigore” – deve essere qualificato come termine di natura “dilatoria” e “a decorrenza successiva” e computato, secondo il criterio di cui all’art. 155 c.p.c., comma 1, escludendo il giorno iniziale (data della notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di convocazione) e conteggiando quello finale (data dell’udienza di comparizione)”.
Alla luce di quanto sopra, è stato rigettato il ricorso proposto dal creditore, e revocata la sentenza dichiarativa del fallimento.