Fallimento-lumaca, il creditore ha diritto all’indennizzo anche se la somma è modesta e difficile da recuperare
Sì all’equo indennizzo per il processo-lumaca della
sezione fallimentare del Tribunale, anche se la somma “incriminata” è
modesta e ci sono scarse probabilità di recuperarla tutta. Intanto, in
tempi di dibattito sul “processo breve”, il creditore muore aspettando
la sentenza sul fallimento: l’erede ha comunque diritto a una
riparazione commisurata al minimo degli standard indicati dalla Corte
europea dei diritti dell’Uomo. È quanto emerge dalla sentenza 24360/09
della Cassazione.
Il caso
Materia del contendere è un
credito chirografario, dunque non assistito da alcuna garanzia:
l’importo ammesso al passivo è di oltre 36 milioni di lire ma i giudici
prevedono un soddisfacimento limitato al 15 per cento. Una somma
modesta, insomma. Eppure il patema d’animo di chi aspetta a lungo la
fine del giudizio va indennizzato ugualmente. La procedura
fallimentare, nella specie, è complessa: la durata ragionevole è
fissata in sette anni, ma ne restano fuori altri cinque e mezzo. È
errato sostenere che il ritardo nel conseguire la somma “incriminata”
non creerebbe «significative sofferenze» al creditore, cui nelle more
subentrano gli eredi. È vero: una motivazione valida per cui il giudice
italiano, nella determinazione del danno non patrimoniale, può
discostarsi dalle decisioni della Corte dei diritti è che nei processi
esecutivi, sia individuali sia concorsuali, la posizione di ciascuna
parte è differente dalle altre: bisogna vedere quanto incide il credito
sul patrimonio del creditore. Ma la riparazione liquidata deve
conservare una relazione «ragionevole» con il range di 1.000-1.500 euro
per ogni anno di ritardo indicato dai giudici di Strasburgo.