Fecondazione assistita: modifiche alla legge 40
«La fecondazione assistita rende
giustizia alle donne italiane, specie in relazione alla legislazione di tanti
paesi europei». È questo il commento di Gianfranco Fini, presidente della
Camera.
«Fermo restando che occorrerà
leggere le motivazioni della Corte – aggiunge – mi sembra fin d’ora evidente
che quando una legge si basa su dogmi di tipo etico-religioso, è sempre
suscettibile di censure di costituzionalità, in ragione della laicità delle
nostre Istituzioni». Varie sono state le reazioni: il Ministro delle Pari
Opportunità Mara Carfagna afferma che la sentenza di ieri della Consulta sulla
legge sulla procreazione assistita «riguarda solo un comma della legge
resta invariato. I vescovi parlano di una ferita «È indiscutibile – afferma
l’editoriale di prima pagina dell’Avvenire, quotidiano della Cei – che da ieri
nella legge 40 si sia aperta una ferita, ma non si tratta affatto di una
lesione mortale» e la sentenza di ieri si configura come «una lacerazione, non
uno squarcio». Restano in piedi la maggior parte dei paletti tesi alla tutela
degli embrioni – osserva il quotidiano – tra i quali i divieti di ogni
selezione a scopo eugenetico, della crioconservazione e della soppressione degli
embrioni dopo l’impianto. Il pronunciamento della Corte costituzionale –
conclude Avvenire – apre «una fase di incertezza interpretativa» «sulla quale
occorrerà lavorare». I centri per la maternità assistita, tuttavia, – confida
la Cei – hanno dimostrato di voler «agire nella legalità. E la legge 40 –
conclude l’editoriale – parla ancora molto chiaro». Giorgio Vittori,
presidente della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) afferma
che la legge 40 sulla procreazione assistita merita una «manutenzione, anche
sulla base di queste più recenti interpretazioni della Corte Costituzionale»,
coordinando «società scientifiche, Istituzioni ed associazioni di pazienti per
consentire di identificare un percorso nuovo e condiviso, nell’interesse della salute
della donna».
«La determinazione di un numero fisso di embrioni da formare -continua Vittori-
è complessa, nel momento in cui non è possibile prevedere se e quanti ovociti
si feconderanno. Il fallimento del tentativo terapeutico costringerà poi la donna
a subire ulteriori stimolazioni ormonali». Ed ancora
«la prescrizione dell’impianto di tutti gli embrioni formati comporta un più
elevato rischio di gravidanza multipla, grave sia per la madre che per i
neonati. In tutto il mondo le linee guida hanno identificato come priorità
limitare i parti multipli, senza compromettere l’efficacia della tecnica».
Questo, sottolinea l’esperto, «si può ottenere soltanto trasferendo in utero un
numero limitato di embrioni (uno-due), proponendo la crioconservazione degli
altri formati».
In conclusione, rileva Vittori, «formare un numero massimo di tre embrioni è
ancora insufficiente per consentire la diagnosi preimpianto di gravi malattie
genetiche. E questo può costringere i genitori a ricorrere successivamente alla
diagnosi prenatale ed alla eventuale interruzione terapeutica di gravidanze già
avanzate». Per questo c’è bisogno che ci sia chiarezza per «risolvere il dubbio
degli operatori, che questa sentenza ha creato nella pratica clinica
quotidiana».
Claudia Petruccelli