Fermo amministrativo: custode usa l’auto? E’ violazione dei sigilli
Rischia il carcere l’automobilista che, nominato custode, utilizza l’automobile sottoposta a fermo amministrativo, non potendo invocare l’errore scusabile sulla interpretazione della norma incriminatrice. E’ quanto ha stabilito la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza 18 luglio 2012, n. 28979, con la quale è stato respinto il ricorso di un automobilista, nominato custode di una vettura, il quale era stato fermato da una pattuglia della polizia municipale a bordo della stessa, nonostante fosse sottoposta a fermo amministrativo, quindi priva di sigilli.
Il ricorrente lamentava la sussistenza di un errore scusabile sulla interpretazione della norma incriminatrice, ex art. 5 c.p., posto che il contrasto giurisprudenziale relativo alla concretizzazione del reato di violazione di sigilli (art. 349 c.p.) si era risolta solo di recente, con l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione, ad opera della sentenza n. 5385/2010.
Come ricordato dai giuridi di legittimità, il fermo amministrativo del veicolo, disciplinato dall’art. 214 cod. strad., è una misura cautelare amministrativa diretta a fare cessare la circolazione del veicolo e a provvedere alla collocazione dello stesso in apposito luogo di custodia, previa apposizione dei sigilli, la cui violazione integra la fattispecie tipica di cui all’art. 349 c.p.
Secondo il giudice nomofilattico, nessuna incertezza può sorgere sulla non utilizzabilità del bene sottoposto a vincolo da parte di chi, nominato custode, era nella piena cognizione dell’inibizione dell’uso dell’autoveicolo.
A tal proposito si rileva come l’incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali nella interpretazione e applicazione di una norma, non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva di ignoranza inevitabile della legge penale, anzi, il dubbio sulla liceità o meno deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento, fino cioè, secondo quanto emerge dalla sentenza n. 364 del 1988 della Corte Costituzionale, all’astensione dalla azione se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga la incertezza sulla liceità o meno della azione stessa, dato che il dubbio, non essendo equiparabile allo stato di inevitabile ed invincibile ignoranza, è inidoneo ad escludere la consapevolezza della illiceità.