Figli naturali e figli legittimi: stesse regole per l’affido condiviso Cassazione civile , sez. I, sentenza 04.11.2009 n° 23411
Nel provvedimento di affidamento dei figli qualora venga disposto il
collocamento prevalente del figlio presso uno dei genitori, l’assegno
di mantenimento deve essere a carico del genitore non collocatario.
Con la sentenza 4 novembre 2009, n. 23411
si rivela quantomeno opportuna se non necessaria quando l’affidamento
condiviso prevede il collocamento prevalente presso uno dei genitori.
Il collocatario, essendo più ampio il tempo di permanenza presso di
lui, potrà quindi gestire da solo il contributo ricevuto dall’altro
genitore, dovendo provvedere in misura più ampia alle spese correnti e
all’acquisto di beni durevoli che non attengono necessariamente alle
spese straordinarie.
ha così respinto il ricorso presentato dal padre del minore, condannato
a versare l’assegno di mantenimento, precisando altresì che, ciascun
genitore, in base all’art. 155 c.c., deve provvedere al mantenimento
dei figli in misura proporzionale al proprio reddito a prescindere dal
fatto che sia coniugato o meno, e che i figli dei genitori non sposati
debbono avere gli stessi diritti rispetto a quelli delle coppie
sposate. L’uguaglianza tra il trattamento riservato a coppie sposate e
quello per le coppie di fatto deve infatti “realizzare il principio
della proporzionalità”.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 4 novembre 2009, n. 23411
Svolgimento del processo
Con
ricorso in data 16/05/2007, M.C. chiedeva al Tribunale per i Minorenni
di Milano l’affidamento in via esclusiva della minore N.,
l’assegnazione della casa familiare, la regolamentazione del diritto
del padre R.D. di visitare la figlia.
Resisteva quest’ultimo,
chiedendo rigettarsi il ricorso della M., ed in via riconvenzionale
affidarsi la figlia al padre, con contributo al mantenimento da parte
della madre, nonchè l’assegnazione a sè della casa familiare.
Il
Tribunale per i Minorenni con provvedimento in data 14/01/08, disponeva
l’affidamento condiviso della minore ad entrambi i genitori, con
collocazione prevalente presso la madre, alla quale veniva assegnata la
casa familiare, con contributo al mantenimento della minore a carico
del padre.
Proponeva reclamo il R..
Resisteva la M.
chiedendo confermarsi il provvedimento impugnato; in via subordinata
accogliersi tutte le domande già proposte davanti al Tribunale per i
Minorenni.
La Corte, con decreto 13/03 – 23/05/08, rigettava il reclamo.
Ricorre per Cassazione il R. sulla base di sette motivi.
Resiste, con controricorso la M..
Motivi della decisione
Questione
preliminare, da esaminare d’ufficio, non avendola dedotta nessuna delle
parti, riguarda la ricorribilità per cassazione, ancorchè ai sensi
dell’art. 111 Cost., del decreto della Corte di Appello, Sezione per i
minorenni che abbia pronunciato, ai sensi dell’art. 317 bis c.c.,
sull’affidamento dei figli di genitori non coniugati. E’ ben
consapevole il Collegio che la giurisprudenza consolidata di questa
Corte ha risolto la questione nel senso dell’inammissibilità del
ricorso, ricollegando tale materia a quella dell’esercizio della
potestà e dei suoi limiti (art. 333 e 330 c.c.) (Tra le altre, Cass.
sez. un. n. 25008 del 2007; n. 13286 del 2004).
Ritiene tuttavia
il Collegio che a diversa soluzione debba pervenirsi, alla luce del
recente intervento normativo di cui alla L. n. 54 del 2006. Tale legge,
esprimendo un’evidente scelta di assimilazione della posizione dei
figli naturali a quelli nati nel matrimonio, quanto al loro
affidamento, precisa all’art. 4, comma 2, che “le disposizioni della
presente legge si applicano anche (…) ai procedimenti relativi ai
figli di genitori non coniugati”. Dunque sono applicabili, anche in
questo settore, le regole introdotte dalla predetta legge per la
separazione e il divorzio: potestà esercitata da entrambi i genitori,
decisioni di maggior interesse di comune accordo (con intervento
diretto del giudice, in caso di contrasto), quelle più minute assunte
anche separatamente, privilegio dell’affidamento condiviso rispetto a
quello ad uno dei genitori, che comunque può essere disposto, quando il
primo appaia contrario all’interesse del minore assegno per il figlio,
in subordine, essendo preminente il principio del mantenimento diretto
da parte di ciascun genitore, audizione obbligatoria del minore
ultradodicenne, possibilità di revisione delle condizioni di
affidamento, ecc. Ma le innovazioni introdotte dalla L. n. 54
comportano, oltre agli effetti sostanziali sopraindicati, pure
rilevanti problematiche processuali in quanto forniscono una definitiva
autonomia dal procedimento di cui all’art. 317 bis c.c., allontanandolo
dall’alveo della procedura ex artt. 330, 333 e 336 c.c. e
avvicinandolo, e per certi versi assimilandolo, a quello di separazione
e divorzio, con figli minori.
Nè si potrebbe obiettare che si
mantiene comunque la competenza funzionale del Tribunale per i
minorenni e il rito della camera di consiglio: l’ordinamento prevede,
ormai con una certa frequenza, la scelta del rito camerale, in
relazione a controversie oggettivamente contenziose, per ragioni di
celerità e snellezza, primo tra tutti il giudizio di appello nei
procedimenti di separazione e divorzio.
Delle innovazioni della
L. n. 54 già ha tenuto conto questa Corte, con orientamento ormai
consolidato, opportunamente superando la distribuzione di competenze
tra tribunale minorile ed ordinario (affidamento dei figli di genitori
non uniti in matrimonio-^ al primo, pronuncia sul mantenimento e
sull’assegnazione della casa familiare, al secondo) e attribuendo ogni
competenza al tribunale minorile (Cass. S.U. n. 8362 del 2007).
Da
quanto si è finora osservato consegue dunque la piena ricorribilità per
cassazione di provvedimenti emessi, ai sensi dell’art. 317 bis c.c., in
sede di reclamo, relativi all’affidamento dei figli e alle relative
statuizioni economiche, ivi compresa l’assegnazione della casa
familiare.
Quanto al merito, va precisato che, come è noto, ai
sensi dell’art. 366 bis c.p.c., l’illustrazione di ciascun motivo del
ricorso deve concludersi a pena di inammissibilità con la formulazione
di un quesito di diritto che consenta alla Corte di enunciare un
principio di diritto corrispondente, nel caso che si lamenti violazione
o falsa applicazione di norme.
Occorrono altresì la chiara
indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione
si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la
dedotta insufficienza di motivazione la rende inidonea a giustificare
la decisione.
Il primo motivo va dichiarato inammissibile,
essendo il quesito formulato non pertinente: esso si riferisce
all’affidamento esclusivo ad uno dei genitori, la dove il giudice a
quo, confermando il provvedimento di primo grado, ha disposto
l’affidamento condiviso, con collocazione prevalente presso la madre.
Il
secondo motivo va rigettato siccome infondato. Il quesito (se sussista
l’obbligo di entrambi i genitori, che svolgono attività lavorativa, di
contribuire, in proporzione alle proprie disponibilità, al mantenimento
dei figli minori) può considerarsi adeguato, pur presentando qualche
margine di genericità: Il ricorrente lamenta violazione degli artt. 316
e 433 c.c. in quanto il giudice aveva imposto oneri economici al padre
senza considerare la posizione della madre, parimenti obbligata.
Sussiste
sicuramente un obbligo per entrambi i genitori che svolgono attività
lavorativa produttiva di reddito di contribuire al soddisfacimento dei
bisogni dei figli minori, in proporzione alle proprie disponibilità
economiche. Tali sono le indicazioni degli artt. 147 e 148 c.c., in
diretta applicazione dell’art. 30 Cost., e pure dell’art. 155 c.c.,
nell’attuale formulazione, sicuramente applicabile, per quanto si è
osservato, ai procedimenti relativi a minori, figli di genitori non
uniti in matrimonio, ai sensi della L. n. 54 del 2006, art. 4.
Tuttavia,
la determinazione, come nella specie, di un assegno periodico a carico
di uno dei genitori, non esonera certamente l’altro genitore dal
contributo al mantenimento del minore.
L’art. 155 c.c.,
novellato fornisce alcune indicazioni sui presupposti e caratteri
dell’assegno. Si introduce, come si diceva, il principio generale, già
elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte, per cui ciascun
genitore provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al
proprio reddito, con l’ulteriore previsione che il giudice possa
disporre, ove necessario la corresponsione di un assegno periodico, al
fine di realizzare tale principio di “proporzionalità”. E’ da ritenere
peraltro che la corresponsione di assegno si riveli quantomeno
opportuna, se non necessaria, quando, come nella specie, l’affidamento
condiviso preveda un collocamento prevalente presso uno dei genitori:
assegno da porsi a carico del genitore non collocatario. Del resto il
ricordato art. 155 c.c., fornisce indicazioni specifiche sulla
determinazione dell’assegno, considerando, tra l’altro, “i tempi di
permanenza presso ciascun genitore”. Il genitore collocatario, essendo
più ampio il tempo di permanenza presso di lui, avrà necessità di
gestire, almeno in parte, il contributo al mantenimento da parte
dell’altro genitore, dovendo provvedere in misura più ampia alle spese
correnti e all’acquisto di beni durevoli che non attengono
necessariamente alle spese straordinarie (indumenti, libri, ecc.). Non
si ravvisa pertanto violazione alcuna di legge.
Il quesito
relativo al terzo motivo (se costituisca pronuncia su tutte le domande
il provvedimento che dichiari semplicemente di rigettare le richieste
al giudice rivolte) è inadeguato: esso si risolve sostanzialmente in un
interrogativo circolare che presuppone già la risposta, senza
consentire al giudice di formulare una regula iuris (tra le altre,
Cass. S.u. n. 28536/08) e appare del tutto generico, dovendosi al
contrario, seppur sinteticamente, quando, come nella specie, si lamenta
la violazione dell’art. 112 c.p.c., indicare i motivi di appello di cui
si assume omesso l’esame (Cass. n. 4329/09). Il motivo pertanto va
dichiarato inammissibile.
Il quesito relativo al quarto motivo è
parimenti inadeguato, perchè formulato come tautologia e/o
interrogativo circolare che presuppone già la risposta: si chiede
infatti al Giudice di precisare se, in materia di obbligazione
alimentare, sia possibile discostarsi dal codice civile, ricorrendo a
decisioni basate su “malintesi principi di equità”.
Va pertanto dichiarato inammissibile il relativo quesito.
Il
quesito relativo al quinto motivo è parimenti inadeguato. La censura
relativa alla mancata valutazione della prova (se il giudice possa
omettere di valutare dati probatori risultanti dall’istruttoria senza
motivare le ragioni dell’omissione) avrebbe dovuto effettuarsi con
riferimento alla omessa o insufficiente motivazione della pronuncia. Il
quesito di diritto (necessariamente del tutto generico) avrebbe dovuto
essere sostituito da una sintesi che indicasse le ragioni per cui
l’insufficienza dedotta la rendeva inidonea a giustificare la decisione
(Cass. N. 976/08). Il relativo motivo va dichiarato inammissibile.
Il
quesito relativo al sesto motivo non è pertinente: ci si riferisce ad
una deroga all’affidamento condiviso, là dove il giudice a quo ha
confermato la statuizione su tale affidamento, seppur con collocamento
prevalente presso la madre. Il relativo motivo è inammissibile.
Con
l’ultimo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 111 Cost. e
art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, per completa omissione della
motivazione. Tale vizio che si converte in violazione di legge richiede
necessariamente la formulazione di un quesito di diritto, soprattutto
quando, come nella specie, una motivazione sussiste, e dovrebbero
evidenziarsi le ragioni per cui tale motivazione debba considerarsi
come inesistente. Il quesito manca nè vi è comunque sintesi su
eventuale difetto di motivazione. Il motivo è inammissibile.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali che liquida in Euro 2.700,00, complessive, di cui
Euro 200,00, per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2009.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2009.