Fisco, Maradona ricorre a Strasburgo: non devo nulla
Adesso Diego Armando Maradona sostiene che non deve nulla al fisco italiano. E per questo, oltre all’intimazione notificata all’Agenzia delle Entrate «per ottenere lo sgravio definitivo delle somme», si appella alla Corte europea dei diritti dell’uomo. È l’ultimo colpo di teatro del campione argentino che proprio ieri è stato protagonista di una rissa con i tifosi sugli spalti dello stadio di Riad.
Per sanare la propria posizione e fare rientro in Italia senza rischiare sanzioni più gravi, il calciatore dovrebbe versare 40 milioni di euro. Ma lui mette nero su bianco il rifiuto e lo fa sulla base di una sentenza emessa nel 1994 dalla Commissione Tributaria di appello che aveva decretato come la società «Calcio Napoli» e gli altri giocatori nella stessa posizione di Maradona, Ricardo De Brito «Alemao» e Antonio De Oliveira «Careca», non dovessero versare neanche una lira allo Stato. Un pronunciamento che il suo avvocato Angelo Pisani ha rintracciato e notificato proprio all’Agenzia.
Quella tra Maradona e il fisco è una disputa che va avanti da oltre vent’anni. Nel 1990 al Napoli e ad alcuni giocatori stranieri fu infatti contestata l’evasione fiscale per i compensi versati all’estero tra il 1985 e il 1990 per lo sfruttamento dell’immagine. In realtà, secondo il fisco, si trattava di una parte dell’ingaggio e per questo fu chiesto il versamento delle relative imposte, oltre ad un procedimento penale contro la società «Calcio Napoli» che però escluse responsabilità dei propri dirigenti. Quando l’avviso di mora fu notificato alle parti, Maradona si era ormai trasferito a Siviglia. «Non sono stato avvisato – ha sempre sostenuto – forse perché qualcuno voleva farmela pagare». Più volte nei giorni scorsi aveva dichiarato di voler tornare in Italia per chiarire la propria posizione e chiudere il contenzioso. Intanto ha formalizzato la propria istanza.
Sono tre i motivi che secondo l’avvocato Pisani giustificano la richiesta di sgravio. E il principale riguarda proprio quella sentenza del 1994 che, sottolinea il legale, «non è mai stata tenuta in conto, forse addirittura ignorata e che io ho adesso ritrovato, con la quale i Giudici tributari di secondo grado hanno riconosciuto l’infondatezza della pretesa creditoria e stabilito l’annullamento degli accertamenti per omissione di versamento delle ritenute alla fonte per gli stessi anni dal 1985 al 1990 su ricorso integralmente accolto a favore della società Calcio Napoli e dei calciatori».
Maradona non aveva fatto ricorso perché ha sempre sostenuto di non essere stato informato dell’avvio del procedimento, ma i giudici analizzano comunque la sua posizione «per i riflessi a carico della società sportiva». E scrivono: «Anche per il caso Maradona i giudici penali hanno escluso per tutti i calciatori che i corrispettivi versati agli sponsor fossero in realtà ulteriori retribuzioni destinate ai calciatori. E hanno espressamente affermato l’insussistenza dell’obbligo in capo alla società “Calcio Napoli” di effettuare il versamento delle ritenute alla fonte su dette somme di denaro». Assolto il Napoli, assolti i calciatori e ora – chiede Maradona – «anche io devo essere assolto».
Proprio sulla base di questa decisione l’avvocato Pisani evidenzia nel suo ricorso all’Agenzia delle Entrate come «il primo ed unico giudicato esistente in merito agli stipendi erogati dal Calcio Napoli per gli anni dal 1985 al 1990 è quello del 1994 che vede Maradona contumace da un lato (per colpa non imputabile stante la irregolarità della notifica), ma litisconsorte, cioè parte in causa, necessario dall’altro, e pertanto pena la nullità dello stesso giudicato, gli effetti di quella sentenza non impugnata non possono che riguardare e coinvolgere direttamente sia il sostituto che tutti i sostituiti, Maradona compreso. Tale granitica sentenza si frappone tra l’origine del debito (avviso di accertamento originario al Calcio Napoli per compensi da questo erogati ed ai sostituiti calciatori) e la fase successiva della riscossione del relativo carico tributario che, pregna di proprie sollevate ed insanabili irregolarità, non può e non deve prescindere dalla prima ed unica valutazione nel merito della vicenda».
Le «insanabili irregolarità», secondo Maradona, sono sostanzialmente due e così il legale le evidenzia nel ricorso: «L’inesistenza totale di prova dell’accertamento ruolo titolo e della corrispettiva cartella originale o in copia conforme presupposto dei presunti avvisi di mora successivi e della procedura di riscossione opposti come previsto per legge e dai principi del giusto processo cui neanche le controparti possono sottrarsi; la prescrizione e dunque l’estinzione delle pretese creditorie iscritte a ruolo e mai provate a carico del ricorrente-contribuente». Poi aggiunge nel ricorso: «Maradona non ha mai potuto impugnare la pretesa del fisco e quindi esercitare il suo giusto, fondato e legittimo diritto di difesa, solo perché come risultante inequivocabilmente dagli atti del processo non ha mai ricevuto alcuna notifica e non vi è prova, tra l’altro, dell’esistenza di tali accertamenti e cartella con esclusione ed inesistenza di ogni ipotesi di credito e pretesa delle parti resistenti».