Fmi: Europa crescita lenta, Italia indietro Ocse: salari italiani agli ultimi posti
ROMA
I salari italiani tra i più bassi nella classifica dei Paesi Ocse:
Salari reali in Italia -1,1%. Nel 2009, l’anno della crisi
Cuneo fiscale stabile al 46,5%. Il peso di tasse e contributi
Fmi: ripresa economica moderata e disomogenea in Europa. «Una
Pil italiano 2010 sale dello 0,8%. Il pil italiano, in base al
Il rapporto deficit-pil italiano si attesterà al 5,2%, rendendo
Paesi Ue risanino debito pubblico nel medio termine. Nel medio
(11 maggio) – La ripresa economica in Europa è moderata e disomogenea,
si legge nel Regional Economic Outlook del Fondo monetario
internazionale. Ma in Italia, giudicata virtuosa per quanto riguarda il
rapporto deficit-pil, la ripresa sarà più lenta, con un pil 2010 più
basso della media europea: +0,8% contro il +1,8% della Francia e il
+1,7% della Germania. Nel frattempo i dati Ocse sui salari si rivelano
sconfortanti per gli italiani, collocati agli ultimi posti tra i Paesi
Ocse.
è quanto risulta dal Rapporto “Taxing Wages” dell’Ocse. L’Italia si
colloca per gli stipendi al 23° posto, con guadagni inferiori al 16,5%
rispetto alla media dei trenta Paesi che fanno parte
dell’organizzazione di Parigi. I dati sono riferiti al 2009 e l’Italia
si colloca nella stessa posizione dell’anno precedente. Il salario
annuale netto del lavoratore medio è in Italia di 22.027 dollari,
contro i 26.395 della media Ocse, i 28.454 della Ue a 15 e i 25.253
della Ue-19. La classifica riguarda il salario netto annuale medio di
un lavoratore single senza carichi di famiglia. E’ calcolato in dollari
e a parità di potere d’acquisto. Se si guarda alla classifica del
guadagno medio di un lavoratore con famiglia, unico percettore di
reddito con a carico coniuge e due figli, il reddito netto degli
italiani sale a 26.470 euro, ma resta inchiodato, anche in questo caso,
al 23° posto della classifica Ocse.
economica internazionale, i redditi reali, prima di tasse e contributi,
sono diminuiti in dieci Paesi su trenta. Tra questi figura l’Italia,
dove il calo è stato dell’1,1%. L’Ocse specifica che il calo maggiore
dei salari reali, prima cioè della tassazione, si è registrato in
Islanda (-7,5%), mentre gli aumenti maggiori hanno riguardato la Grecia
(+3,8%).
sui salari, il cosiddetto cuneo fiscale che calcola la differenza tra
quanto pagato dal datore di lavoro e quanto effettivamente finisce in
tasca al lavoratore, è in Italia al 46,5%. Lo rileva l’Ocse nel
rapporto “Taxing Wages 2009”. Nella classifica dei maggiori trenta
Paesi, aggiornata al 2009, l’Italia è al sesto posto, come nell’anno
precedente, per peso fiscale sugli stipendi, dopo Belgio (55,2%),
Ungheria (53,4%), Germania (50,9%), Francia (49,2%), Austria (47,9%).
Il peso di tasse e contributi sui salari in Italia è rimasto stabile
dal 2008 al 2009, registrando solo un lieve calo (-0,03%). In Italia,
precisa ancora l’Ocse, hanno un impatto rilevante sulla differenza tra
salario lordo e netto anche i cosiddetti “pagamenti obbligatori non
fiscali”, rappresentati dal tfr, che aumentano la pressione di un
ulteriore 3%. «Aggiungendo questa variabile – spiega un economista
dell’Ocse in un incontro con la stampa – il prelievo obbligatorio sui
salari in Italia sale oltre il 49%, portando il Paese a superare la
Francia in termini di quota di imposizione». I “pagamenti obbligatori
non fiscali”, secondo la definizione dell’Ocse, sono pagamenti che il
lavoratore o il datore di lavoro devono versare per legge, ma non al
governo, come i contributi in fondi pensione privati o pagamenti per
polizze assicurative. Il loro impatto sui redditi delle famiglie, e sul
costo del lavoro, è differente da quello delle imposte tradizionali,
dato che spesso si tratta di contribuzioni nominali, che il lavoratore
riottiene quando lascia il posto o va in pensione (come, appunto, nel
caso del Tfr).
ripresa moderata e disomogenea sta prendendo forma in Europa. La
crescita nell’area è prevista rafforzarsi nel 2010-2011, anche se i
tradizionali motori della ripresasaranno probabilmente più deboli del
solito»: lo afferma il Fondo monetario internazionale nel Regional
Economic Outlook per l’Europa, nel quale prevede per l’Unione europea e
per Eurolandia un pil in crescita dell’1% nel 2010, con un’inflazione
rispettivamente pari all’1,5% e all’1%. «Nel breve termine la crescita
continuerà a beneficiare delle esportazioni e delle misure di stimolo
fiscale. Miglioramenti nella fiducia degli investitori e dei
consumatori potrebbero spingere la domanda interna. In ogni caso, con
la disoccupazione prevista in aumento e con le difficoltà persistenti
nel settore bancario, i consumi e gli investimenti rimarranno opachi».
rapporto del Fmi, crescerà nel 2010 dello 0,8%, a fronte di
un’inflazione dell’1,4%. Più forte la crescita del pil dell’eurozona,
che dovrebbe attestarsi all’1%, trainato dalla ripresa in Francia
(+1,8%) e Germania (1,7%) mentre altre grandi «economie dell’area, fra
cui l’Italia, emergeranno più lentamente dalla recessione», in cui
dovrebbe rimanere anche la Spagna, prevista in contrazione anche nel
2011.
così l’Italia uno dei più virtuosi d’Europa: il deficit-pil di
Eurolandia, infatti, risulterà pari al 6,8%, quello tedesco al 5,7% e
quello francese all’8,2%. «Il pil dell’area euro è previsto in crescita
dell’1% nel 2010 e dell’1,5% nel 2011, con la Francia (+1,8%) e la
Germania (+1,7%) a spingere la crescita – dice il Fmi – Altre grandi
economie dell’area emergeranno più lentamente dalla recessione, fra
queste l’Italia. La Spagna è prevista in contrazione anche nel 2011».
termine sono necessari ampi interventi di risanamento del debito
pubblico in molti Paesi europei, dice il Fmi, sottolineando che nel
breve termine stabilizzare il debito pubblico non è consigliabile né
desiderabile, dato il rischio di scivolare nuovamente in recessione e
la portata dei necessari aggiustamenti. «Le politiche macroeconomiche»
adottate per affrontare la crisi «sono ancora necessarie per assicurare
la ripresa, ma i costi e i limiti di diversi interventi destano
preoccupazione, soprattutto sul fronte dei bilanci pubblici, pur
riguardando anche le politiche monetarie e fiscali».