Forleo non lascerà Milano: il Tar accoglie il ricorso
«Sono molto commossa, la giustizia ha
trionfato» dice Clementina Forleo dopo che il Tar del Lazio ha accolto
il suo ricorso contro il provvedimento del Csm che le aveva imposto di
lasciare Milano per incompatibilità ambientale, in seguito alle sue
dichiarazioni su presunte interferenze di poteri forti nelle inchieste
sulle scalate bancarie.
La sentenza con la quale il Tar ha
annullato il provvedimento disciplinare di trasferimento è esecutiva,
ma ciò non comporta che il giudice lascerà subito il tribunale di
Cremona, dove esercita ora, per far ritorno a Milano. La sentenza,
infatti, dovrà essere notificata al Csm dalla stessa Forleo. Poi,
l’organo di autogoverno dei magistrati avrà due possibilità: prendere
atto e dare esecuzione alla sentenza, deliberando il suo ritorno,
oppure impugnare il provvedimento davanti al Consiglio di Stato, con
richiesta di sospensiva. Se la richiesta di sospensiva sarà accolta, il
gip attenderà a Cremona la successiva decisione nel merito del
Consiglio: nel caso la sospensiva non venisse accolta, potrà tornare
nel capoluogo lombardo pur in pendenza del secondo grado di giudizio.
Qualora il Csm non dovesse impugnare la sentenza, infine, ma non desse
corso alla decisione del Tar, Clementina Forleo potrebbe avviare un
giudizio di ottemperanza: a quel punto sarà nominato un commissario
che, di fatto, si sostituirà al Csm per dar seguito alla sentenza.
Una
sentenza, quella del Tar del Lazio che, parla di un trasferimento
deciso «in carenza dei presupposti di causa ed effetto previsti dalla
norma vigente». La I Sezione, presieduta da Giorgio Giovannini, prende
le mosse dal fatto che «nell’ordinamento attuale», il trasferimento per
incompatibilità ambientale può ritenersi «integrato soltanto in una
situazione non attribuibile a colpa del magistrato, che sia produttiva
di un effetto costituito dall’impossibilità di svolgere nella sede
occupata le proprie funzioni con piena indipendenza ed imparzialità». I
giudici hanno ritenuto non sussistente «nemmeno l’altro presupposto»:
vale a dire l’ impossibilità per il magistrato di svolgere nella sede
occupata le proprie funzioni «con piena indipendenza ed imparzialità».
I
giudici hanno ritenuto non sussistente «nemmeno l’altro presupposto»:
vale a dire l’ impossibilità per il magistrato di svolgere nella sede
occupata le proprie funzioni «con piena indipendenza ed imparzialità».
Non vi sarebbe, infatti, nella delibera del Csm, una «esauriente
spiegazione sulla plausibilità del verificarsi di tale effetto».
Clementina Forleo, nel suo ricorso, sosteneva che il Csm era partito da
«premesse erronee», aveva commesso sbagli di procedura e soprattutto
non aveva avuto «serenità di giudizio» e gli rimproverava di aver avuto
quasi un accanimento nei suoi confronti «fin dalla prima audizione».