Frasi offensive su “Facebook”: corretto il risarcimento alla persona offesa
Il Tribunale di Monza della Sezione IV Civile, con la recente sentenza
2 marzo 2010, n. 770, ha stabilito che colui il quale lede la
reputazione, l’onore o il decoro di una persona tramite l’invio di un
messaggio del social network “Facebook” è obbligato al risarcimento del
danno.
Questa la vicenda sottoposta al Tribunale di Monza: una giovane
donna, portatrice di una particolare tipologia di strabismo, definita
“esotropia congenita”, entra in contatto con un giovane attraverso il
più famoso social network “Facebook”.
I due intraprendono una relazione sentimentale, ma il giovane,
stufo delle continue ed eccessive attenzioni della donna, decide di
porre fine al rapporto con un messaggio, visibile da altri utenti,
tramite “Facebook”.
Nel citato messaggio il ragazzo non solo la offende sull’aspetto
fisico e sulla particolare tipologia di strabismo, ma ne rende noti i
gusti sessuali, ledendo la sua reputazione, l’onore ed il decoro.
La donna decide di citare in giudizio il ragazzo, chiedendo il
risarcimento del danno morale soggettivo o, comunque, del danno non
patrimoniale, conseguente alla lesione subita.
Il Tribunale di Monza, chiamato a decidere sulla vicenda, accoglie
le pretese di parte attrice precisando come “nell’ambito della
categoria generale del danno non patrimoniale, la formula danno morale
non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive – tra i
vari pregiudizi non patrimoniali – un tipo di pregiudizio, costituito
dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata:
sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza
ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del
risarcimento” (Cass. Sez. Un., sentenza 11 novembre 2008, n. 26972 e n.
26975).
Secondo il Giudice di prime cure nella vicenda in esame “deve
essere riconosciuto il diritto al risarcimento del danno morale
soggettivo, inteso come “transeunte turbamento dello stato d’animo
della vittima” del fatto illecito, vale a dire come complesso delle
sofferenze inferte alla danneggiata dall’evento dannoso,
indipendentemente dalla sua rilevanza penalistica.
Rilevanza che, peraltro, ben potrebbe essere ravvisata nel fatto
dedotto in giudizio, concretamente sussumibile nell’ambito della
astratta previsione di cui all’art. 594 c.p. (ingiuria) ovvero in
quella più grave di cui all’art. 595 c.p. (diffamazione) alla luce del
cennato carattere pubblico del contesto che ebbe a ospitare il
messaggio de quo, della sua conoscenza da parte di più persone e della
possibile sua incontrollata diffusione a seguito di tagging. Elemento,
quest’ultimo, idoneo ad ulteriormente qualificare la potenzialità
lesiva del fatto illecito, in uno con i documentati problemi di natura
fisica ed estetica sofferti” dalla donna.
Il Tribunale di Monza, dunque, alla luce di quanto accertato in
fatto della evidente lesione di diritti e valori costituzionalmente
garantiti (la reputazione, l’onore, il decoro della vittima) e delle
conseguenti indubbie sofferenze inferte all’attrice dalla vicenda in
esame, stabilisce, in via di equità, che alla donna deve essere
liquidata ai valori attuali, a titolo di danno morale ovvero non
patrimoniale, la somma di € 15.000,00.