Frode carosello: sì alla prova per presunzioni semplici
Una società impugna alcuni avvisi di accertamento emessi con riferimento all’attività di acquisto di autoveicoli esteri ad opera di società intermediarie, con successiva rivendita. Era stato strutturato un congegno contabile di fatturazioni inesistenti, dal punto di vista soggettivo, nel fenomeno della cd. “frode carosello”. Questa si basa sull’omesso versamento dell’imposta incassata da società cartiere a seguito di acquisti intracomunitari, o in altro modo esenti, e conseguenti rivendite, anche mediante l’intervento di società filtro. In primo grado la Commissione tributaria rigetta il ricorso, con conferma in appello. La società quindi propone ricorso per cassazione formulando sei motivi. L’amministrazione resiste con controricorso.
In particolare, rigettando tutti i motivi formulati, la sezione Tributaria statuisce che “l’amministrazione può dar prova dei fatti mediante presunzioni semplici”, rilevando che il giudice di merito ha accertato, attraverso i documenti prodotti, l’acquisto e la rivendita di autoveicoli a prezzi da considerarsi sottocosto, l’omesso versamento dell’IVA da parte delle ditte interposte verso l’Erario, e la detrazione IVA eseguita dall’interponente.
Ha inoltre ribadito il proprio orientamento in tema di IVA (Cass. n. 867 del 2010), nell’ambito delle frodi carosello: l’acquisto di materiali a prezzi più contenuti nella finalità di rivendere a prezzi più bassi fa presumere la “conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all’accordo simulatorio del beneficiario finale”. Da ciò discende che, in applicazione del principio di cui all’art. 17 della direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, l’IVA assolta dallo stesso beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non risulta detraibile in virtù del disposto di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, pure se le citate operazioni sono state, di fatto, compiute e le relative fatture appaiono regolari, come la documentazione contabile.
Sulla base del dictum estrapolato dalla propria sentenza n. 8132 del 2011, la Sezione Tributaria rileva inoltre che la società contribuente non ha fornito alcuna prova, “nemmeno in ordine alla propria buona fede, come era suo onere a fronte di operazioni soggettivamente inesistenti”.