Fumo passivo al lavoro: il dipendente ha diritto alla rendita INAIL
Il dipendente comunale, esposto per oltre trent’anni alle sigarette del collega, ha diritto alla rendita INAIL per i danni da fumo passivo. A stabilirlo è la Cassazione (sentenza 3227/11).
Il caso
La Corte d’appello di Catania dichiarava il diritto di un geometra, dipendente comunale, alla costituzione della rendita per inabilità permanente del 47%, avendo l’uomo lavorato per oltre 30 anni e per 5 ore al giorno in un locale non aerato insieme ad altro collega fumatore. In particolare, il CTU, nominato dai giudici di seconde cure, riteneva che il lavoratore fosse affetto da asma bronchiale e enfisema polmonare da attribuire all’esposizione protratta per diversi decenni al fumo passivo. L’INAIL, dal canto suo, censurava le conclusioni del consulente tecnico, sulla base della personale responsabilità dei lavoratori fumatori, in ambienti lavorativi in cui il fumo non derivava da attività produttive, e del datore di lavoro, per non aver intrapreso adeguate iniziative impositive del divieto di fumo. La Corte territoriale, bocciando tale tesi, riconosceva la copertura assicurativa di un rischio ambientale e condannava l’Istituto al pagamento della rendita nella misura complessiva del 47%.
Sono tutelabili solo le malattie professionali causate da rischio specifico dell’attività lavorativa? L’INAIL non ci sta e propone ricorso per cassazione, sostenendo che il riconoscimento, da parte dei giudici di seconde cure, dell’indennizzabilità della patologia sul presupposto che possa essere qualificata come professionale qualsiasi malattia causata da qualunque rischio comunque connesso al lavoro si pone in contrasto con l’orientamento secondo cui sono tutelabili come malattie professionali non tabellate anche patologie diverse da quelle elencate nelle apposite tabelle, ma sempre che esse siano causate dal rischio specifico dell’attività lavorativa.
La Suprema Corte, però, non ritiene condivisibile tale assunto tanto da rigettare il ricorso dell’Istituto. In particolare, i giudici di legittimità affermano che la tutela antinfortunistica del lavoratore si estende alle ipotesi di rischio specifico improprio, definito come quello che, pur non insito nell’atto materiale della prestazione lavorativa, riguarda situazioni ed attività strettamente connesse con la prestazione stessa. Non solo. La nozione di rischio ambientale comporta che è tutelato il lavoro in sé e per sé considerato e non soltanto quello reso presso le macchine, essendo la pericolosità data dall’ambiente di lavoro. Inoltre, i fattori di rischio per malattie non tabellate comprendono anche quelle situazioni di dannosità che, seppure ricorrenti anche per attività non lavorative, costituiscono però un rischio specifico per l’assicurato.
Accertato il legame tra esposizione al fumo passivo e bronchite cronica. Ne deriva che, nel caso di specie, non solo risulta evidente dalla perizia del consulente tecnico la stretta correlazione tra l’esposizione al fumo passivo e i sintomi respiratori cronici sofferti dal geometra, ma anche l’assenza di un divieto di fumo negli uffici comunali dove l’uomo svolgeva la propria attività lavorativa. Ed ancora, la presenza di finestre nel locale dove il geometra lavorava non consente comunque di pervenire ad un giudizio di salubrità ambientale. Pertanto, va riconosciuto al lavoratore il diritto alla rendita per il danno da fumo passivo.