Gestante ha diritto a essere informata su rischio genetico
E’ sempre la madre a dover decidere liberamente dopo essere stata adeguatamente informata se scegliere la strada dell’aborto terapeutico o si rischiare una nascita al rischio genetico. È quanto afferma la Corte di Cassazione spiegando che se la madre non è stata messa in condizioni di poter scegliere liberamente attraverso analisi adeguate che dimostrino la vitalità del feto, il medico rischia di dover pagare un maxi risarcimento a entrambi i genitori. Sulla scorta di questo principio la Corte ha dato ragione una coppia umbra che aveva dato alla luce una bimba con sindrome Down. L’accusa contro i sanitari era di non aver “informato la gestante della oggettiva inaffidabilita’ dell’esito della funicolocintesi e quindi sulla necessita’ di ripetere l’esame entro e non oltre la 24esima settimana”, termine entro il quale la donna avrebbe potuto scegliere l’aborto terapeutico. Già la corte d’appello di Perugia aveva riconosciuto alla coppia un danno di 80.000 euro. Il caso finiva poi dinanzi alla suprema Corte a cui si è chiesto di chiarire “nel caso di aborto terapeutico, a chi incombe l’onere probatorio che al momento dell’inadempimento del medico il feto non era in condizioni di condurre vita autonoma”. La Cassazione ha ricordato che siamo di fronte a una responsabilità contrattuale e per questo nel contratto tra la gestante e la struttura ospedaliera che effettua le analisi per escludere il rischio genetico, “gli interessi da realizzare e tutelare attengono alla sfera della salute in senso ampio”. L’inadempimento in tal caso “e’ suscettibile di ledere i diritti inviolabili della persona e quindi anche della gestante e del padre, che pure e’ giuridicamente solidale al mantenimento, alla crescita e alla protezione del nato non sano”. La Cassazione spiega che la responsabilita’ della struttura sanitaria e’ di natura “contrattuale in quanto inadempiente all’obbligo di protezione nel compiere la funicolocentesi, sia in ordine al principio di risarcimento integrale del danno non patrimoniale dei genitori della piccola handicappata, che risulta sottovalutato per entrambi i genitori, considerata la gravita’ del sacrificio personale e la permanenza dell’assistenza di una persona che abbisogna di continue cure, sorveglianza ed affetto”.