Giovani in via d’estinzione, – 2 milioni in dieci anni
L’Italia ha perso i giovani per strada. Sono sempre meno – in calo del 12,7% negli ultimi 10 anni e dimezzati negli ultimi 20 – sempre più sfiduciati e impigriti. Primi in Europa per “inattività volontaria”, l’ultimo studio del Censis li descrive nell’11,2% dei casi “non interessati a lavorare o a studiare”. Se i giovani nullafacenti sono una realtà in diversi paesi, il dato italiano è più di tre volte superiore alla media europea (3,4%) e a quello di Paesi come la Germania (3,6%), la Francia (3,5%) o l’Inghilterra (1,7%). La crisi sicuramente contribuisce a diffondere un senso di sfiducia nel futuro per cui “molti giovani guardano all’inattività come a un’alternativa possibile di vita”, scrive il Censis, ma non basta a spiegare la rinuncia alla ricerca di un lavoro.
In Spagna, con un tasso di disoccupazione giovanile arrivato a quota 41,6% nel 2010, i giovani che hanno smesso di cercare un impiego sono appena lo 0,5%. In Italia, invece, la disoccupazione è del 27,8%, ma i Neet (dall’acronimo inglese Not in education, employment or training) toccano punte del 17,7% al Sud. Non li aiuta a vincere l’apatia “la funzione di ammortizzatore sociale che le famiglie si sono ormai abituate a svolgere”, come spiega il direttore generale del Censis, Giuseppe Roma, all’audizione presso la Commissione Lavoro della Camera, e nemmeno le scarse possibilità di successo professionale legate all’istruzione superiore. Per i laureati, l’accesso al mercato del lavoro è ancora più difficile che per i diplomati, e solo il 67% trova un impiego a tre anni dal completamento degli studi, contro il 70% di chi ha un diploma e l’84% dei laureati degli altri paesi dell’Unione Europea. Inoltre, secondo una ricerca dell’Eurispes, la laurea è inutile per il 20% dei lavoratori, che sono impiegati in lavori sottoqualificati.
Questo fenomeno “é in continua crescita e provoca mobilitàsociale discendente e immobilità sociale”, secondo il presidente del centro di ricerca, Gian Maria Fara, ma è ancora più diffuso quello dei lavoratori con titoli di studio “incoerenti” con l’attività svolta, che caratterizza addirittura metà della popolazione. Con queste prospettive di carriera, non stupisce che il numero di laureati in Italia sia molto inferiore a quello dei vicini europei. Ha finito gli studi universitari, infatti, solo il 20,7% dei ragazzi tra i 25 e i 34 anni, a fronte di una media europea del 33% e a tassi del 26,1% in Germania, del 39,2% in Spagna, del 40,7% nel Regno Unito e del 42,9% in Francia. Di fronte a questi dati disperarsi non serve, secondo il vicepresidente della Commissione Lavoro, Giuliano Cazzola (Pdl), basta aspettare perché “la demografia ci darà una mano a superare le difficoltà dell’occupazione giovanile”. Negli ultimi 10 anni ci sono stati, infatti, 2 milioni di giovani in meno ed entro il 2020 8 milioni di anziani usciranno dal mercato del lavoro, “non ci sono abbastanza ragazzi per sostituirli” osserva il deputato.