Giudice non può derogare ai minimi tariffari senza motivare la decisione
In materia di liquidazione degli onorari agli avvocati, il giudice
d’appello non può’ limitarsi ad una apodittica fissazione dei compenso
spettante ai professionista, ma deve determinare, soprattutto in
presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa,
l’ammontare del compenso dovuto al professionista, specificando il
sistema di liquidazione adottato e la tariffa professionale applicabile
alla controversia, distinguendo ciascuno dei gradi di giudizio di
merito, onde consentire l’accertamento della conformità’ della
liquidazione a quanto risulta dagli atti e dalle tariffe, anche in
relazione all’inderogabilità dei minimi tariffari.
E’ questo l’importante principio di diritto stabilito dalla
Cassazione, sez. II, con la sentenza 20 maggio-19 ottobre 2011, n.
21633. Nel caso di specie il tribunale di Roma aveva accolto l’appello
proposto contro una sentenza del Giudice di pace nella parte in cui che
aveva compensato le spese di lite.
In particolare, il Tribunale, accogliendo l’appello, liquidava i
compensi in favore del difensore con un’unica somma per i due gradi di
giudizio. In ciò veniva ravvisato motivo di ricorso per Cassazione in
quanto la liquidazione operata dal Tribunale di Roma non rispetterebbe i
criteri posti dalla legge relativamente al rispetto dei minimi
tariffari, per giunta derogati senza esplicitazione delle ragioni di
tale riduzioni.
Investita della questione, la Suprema Corte non ha potuto che
accogliere il ricorso, in quanto la normativa sui minimi tariffari
risulta ancora in vigore, non essendo stata abrogata dalle disposizioni
dell’art. 2 della L. 248/06, che consentono un accordo derogatorio tra le parti, nella specie non sussistente.
Da qui il principio di diritto enunciato dai giudici del Palazzaccio, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese, ad altro giudice del tribunale di Roma.