Giustizia lenta- la tutela
Oggetto: ricorsi davanti alla Corte D’appello competente ex art. 11 c.p.p.
per l’accertamento della violazione di cui all’art. 6 § 1 della Convenzione
europea dei Diritti dell’Uomo, sotto il profilo del mancato rispetto del
termine di ragionevole durata, e riconoscimento del diritto ad una equa
riparazione, a norma del disposto di cui all’art. 2, comma 1 della Legge n.
89/2001.
La tutela tesa ad assicurare ai cittadini europei un processo di ragionevole
durata è garantita, come noto, in sede sopranazionale dal disposto dell’art.
6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali, firmata nel 1950 certificata in Italia sin dal
1955, che garantisce il diritto di ogni persona “affinché la sua causa sia
trattata equamente, pubblicamente e in termini ragionevoli, davanti ad un
tribunale indipendente ed imparziale stabilito dalla legge, al fine sia
della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile,
sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta.”
Con la nuova formulazione dell’art. 111 della Costituzione italiana ( Legge
costituzionale 23.11.99, n. 2) è stata inserita una garanzia formale in
merito alla ragionevole durata del processo che, prima, nella nostra Carta
Costituzionale, non esisteva ” La giurisdizione si attua mediante il giusto
processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio
delle parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed
imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.”
I succitati principi sono stati poi successivamente importati nel testo
della legge n. 89 del 24.03.2001 ” legge Pinto” che, all’art. 2 coma 1
recita ” Chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto
di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955,
n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di ci
all’art. 6, paragrafo 1, della convenzione, ha diritto ad un equa
riparazione”.
I ricorsi per denunciare la lentezza dei processi celebrati davanti
all’autorità giudiziaria italiana si presentano davanti alla Corte di
Appello, e non più a Strasburgo, davanti alla Corte Europea dei diritti
dell’uomo. L’ art. 3 della legge “Pinto” prevede che la parte che lamenti la
eccessiva durata dei processi davanti ai giudici italiani possa presentare
ricorso davanti alla Corte d’appello limitrofa ( individuata ai sensi
dell’art. 11 del codice di procedura penale) a quella dove è pendente o è
terminato il processo (entro sei mesi dal momento in cui la decisione è
divenuta definitiva), per ottenere a carico dello Stato italiano, il
risarcimento dei danni patrimoniali o non patrimoniali causati
dall’eccessiva durata del processo.
Si può richiedere il risarcimento per la lungaggine di qualsiasi tipo di
causa ( civile, penale, o amministrativa ) ed anche se il ricorrente è
risultato soccombente e ciò perché il diritto fatto valere in applicazione
dell’impianto normativo in parola fonda le proprie basi sul sancito
fondamentale principio di ottenere una sentenza in tempi ragionevoli, a
prescindere dalla fondatezza delle proprie ragioni.
Il costante e consolidato orientamento giurisprudenziale della corte Europea
ha espresso i seguenti principi fondamentali:
– il termine ragionevole dei processi è pari a circa tre anni per il primo
grado, a due anni per il secondo e ad un anno per il grado di legittimità,
ed è rapportato alla complessità del caso, al comportamento delle parti, del
giudice e delle altre autorità;
– il danno non patrimoniale è riconosciuto semplicemente a seguito del
superamento del termine ragionevole, in quanto la sofferenza del danno non
patrimoniale per la lungaggine del processo, avendo natura meramente
psicologica, non è suscettibile di ricevere una obbiettiva dimostrazione e
si verifica nella normalità dei casi;
– il risarcimento del danno non patrimoniale è diretto ad indennizzare lo
stato di angoscia, di incertezza, di frustrazione, e di ingiustizia in cui
la parte pervade per la prolungata attesa di una decisione;
– l’importo medio risarcitorio del danno non patrimoniale liquidato dal
giudici d’oltralpe è pari a circa ?. 1.000,00 per ciascun anno di durata del
processo eccedente il termine ragionevole;
– affinché venga riconosciuto il risarcimento del danno patrimoniale è
necessario, invece, che lo stesso venga oggettivamente e specificamente
provato in quanto derivante da circostanze esteriori e sensibili.
Nel primo periodo di applicazione della Legge “Pinto” alcune Corti d’Appello
si sono discostate dalla cospicua giurisprudenza europea respingendo le
richieste di risarcimento ovvero liquidando cifre irrisorie ritenendo, per
esempio, esigua la posta in gioco nel processo presupposto, il giudizio di
trascurabile valore economico, oppure non ravvisando una eccessiva ansia a
carico della parte, tenuto conto della materia del contendere. Il succitato
orientamento di alcune Corti domestiche ha diffuso sfiducia e scoraggiamento
in merito ad ulteriori richieste di risarcimento dei danni causati dai
ritardi della giustizia italiana.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con quattro sentenze emesse il 26
gennaio 2004 hanno finalmente riconosciuto la prevalenza e la diretta
applicazione della giurisprudenza prodotta dalla Corte Europea dei diritti
dell’uomo di Strasburgo.
La Cassazione a Sezioni Unite ha tracciato un quadro complessivo che non può
lasciare adito ad alcun dubbio, circa la vincolatività ( per il giudice
italiano) della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, sancendo così il
principio di sussidiarietà dell’intervento della Corte di Strasburgo.
La Suprema Corte ha tracciato altresì un raccordo stretto tra le norme
convenzionali in materia di diritto alla giustizia entro termini
ragionevoli, l’art. 111 della Carta Costituzionale che tutela il bene della
ragionevole durata del processo come diritto della persona e la Legge
“Pinto” intervenuta quale rimedio interno a presidio e salvaguardia dei
succitati diritti.
In conclusione, ed alla luce di quanto sopra brevemente esposto, tantissimi
possono essere i soggetti interessati a proporre ricorso davanti alle
competenti Corti d’Appello onde ottenere, a carico dello Stato italiano, una
equa riparazione a ristoro della lunga attesa ingiustamente subita.