Sez. U, Sentenza n. 4636 del 2007 –
REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. CARBONE Vincenzo – Presidente aggiunto -Dott. NICASTRO Gaetano – Presidente di sezione -Dott. VELLA Antonio – Presidente di sezione -Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Consigliere -Dott. GRAZIADEI Giulio – Consigliere -Dott. TRIFONE Francesco – Consigliere -Dott. VIDIRI Guido – Consigliere -Dott. DE MATTEIS Aldo – rel. Consigliere -Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere -ha pronunciato la seguente:
SENTENZAsul ricorso proposto da:MOTTOLA SALVATORE, PANZA GIUSEPPE, SALAMONE GIUSEPPE, RENDOLA LICASTRO CARMELA, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA MAZZINI 8, presso lo studio dell’avvocato DELLA VALLE GIORGIO, che li rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;- ricorrenti -controFONDAZIONE TEATRO SAN CARLO DI NAPOLI, in persona del Presidente pro- tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;- controricorrente -e controFALLIMENTO IL GABBIANO S.P.A.;- intimato -avverso la sentenza n. 3026/04 del Tribunale di NAPOLI, depositata il 19/07/04;udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 06/02/07 dal Consigliere Dott. Aldo DE MATTEIS;udito l’Avvocato Giorgio DELLA VALLE;udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSOCon ricorso depositato nel 1988 i lavoratori indicati in epigrafe hanno convenuto avanti al pretore di Napoli, giudice del lavoro, l’Ente Autonomo Teatro San Carlo, al fine di ottenere: a) il riconoscimento di un’illecita interposizione di manodopera in violazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1 e, conseguentemente, la declaratoria giudiziale della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato direttamente con l’Ente Autonomo Teatro San Carlo di Napoli, alle cui dipendenze i ricorrenti sarebbero stati per il tramite della Gabbiano s.p.a. e, in precedenza, di diverse altre ditte appaltatrici di lavori di pulizia; b) in subordine il riconoscimento del diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo dei dipendenti degli Enti Lirici, con condanna della Gabbiano s.p.a. e dell’Ente Autonomo Teatro San Carlo, in solido fra loro a norma della L. n. 1369 del 1960, art. 3, al pagamento delle differenze retributive tra quanto previsto nel citato contratto e quanto percepito.Il Tribunale di Napoli, sezione lavoro, con sentenza 5 maggio 2004 n. 3026, decidendo quale giudice d’appello in sede di rinvio a seguito della sentenza n. 497/2000 di questa Corte a Sezioni Unite (che aveva ordinato l’integrazione del litisconsorzio necessario processuale nei confronti della soc. Gabbiano), affermata la procedibilità del ricorso in riassunzione, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario.Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione i lavoratori indicati in epigrafe, con 4 motivi.La Fondazione Teatro San Carlo di Napoli intimata si è costituita con controricorso, resistendo.Le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONECon il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 392 e 393 c.p.c., i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la procedibilità del ricorso in riassunzione. La sentenza impugnata sul punto ha così motivato: “il ricorso in riassunzione è stato depositato entro un anno dalla data della pronuncia delle sezioni unite. Alla prima udienza fissata il giudice designato si è astenuto in quanto era stato il giudice della sentenza di primo grado. È stata fissata una seconda udienza in data 15 novembre 2002 della quale è stata data comunicazione alle parti, tutte presenti alla citata udienza; quindi è stata fissata nuova udienza dinanzi al collegio, autorizzando la notifica dell’atto di riassunzione. Tale attività processuale è pienamente legittima, secondo la dominante giurisprudenza di legittimità, che ritiene ammissibile e necessario, in caso di omessa o inesistente notificazione, l’ordine di rinnovazione della stessa, entro un termine perentorio”.I ricorrenti obiettano:a) la notifica dell’atto di riassunzione è stata effettuata il 17 gennaio 2003 (2 anni e mezzo dopo il deposito della sentenza della corte di cassazione) mentre l’udienza di discussione era stata fissata per il 4 ottobre 2002 e, successivamente per il 15 novembre 2002.b) se i vizi inerenti all’appello vengono denunciati in sede di costituzione, tale costituzione non vale ad escludere il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado a seguito della pregressa scadenza del termine di impugnazione.Il motivo non è fondato.La sentenza impugnata è partita dal corretto principio di diritto che nel rito del lavoro la riassunzione della causa, prevista dall’articolo 392 c.p.c., deve essere effettuata mediante deposito del ricorso nella cancelleria del giudice di rinvio entro l’anno dalla pubblicazione della sentenza di cassazione; il tempestivo deposito del ricorso in riassunzione (che riguarda la editio actionis) evita di per sè, ed a prescindere dalle successive vicende attinenti la vocatio in jus, ogni decadenza ed impedisce, conseguentemente, la pronuncia di estinzione del giudizio, mentre i vizi che eventualmente determinano la nullità della relativa notifica possono essere sanati (Cass. 3 aprile 1993 n. 4029, Cass. 13 marzo 1995 n. 2871). Egualmente corretto è il principio applicato al vizio di notifica, sanabile entro il termine perentorio fissato dal giudice (Cass. Sez. Un. 25 ottobre 1996 n. 9331). Questi due corretti principi di diritto la sentenza impugnata ha applicato alla sequenza processuale sopra descritta, nella quale il termine perentorio per il rinnovo della notifica (nella specie osservato) è stato fissato una volta che la causa è pervenuta all’organo collegiale competente. La notifica effettuata nel termine perentorio fissato dal giudice collegiale ha evitato qualsiasi vizio di improcedibilità. Con i tre successivi motivi, i ricorrenti contestano la decisione in punto di giurisdizione.Con il secondo, deducono violazione e falsa applicazione dell’articolo 5 c.p.c., del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, articolo 45, comma 17, come modificato dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, articolo 60, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 2 e 3. Essi non contestano che la natura pubblica del rapporto preteso con il Teatro comporti la giurisdizione del giudice amministrativo prima del 30 giugno 1998; infatti non contestano la motivazione della sentenza impugnata, da ritenersi comunque conforme a diritto, nella parte in cui essa segue la giurisprudenza di legittimità, secondo cui la natura di enti pubblici non economici degli enti lirici deve essere riconosciuta anche dopo l’entrata in vigore del D.L. 11 settembre 1987, n. 374, convertito in L. 29 ottobre 1987, n. 450 (il quale stabilisce all’articolo 3, comma 1, che ai dipendenti degli enti autonomi lirici si applica la normativa vigente per i dipendenti degli enti pubblici economici), e ciò anche ai fini della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie inerenti al rapporto di lavoro con il personale dipendente (Cass. Sez. un. 5 giugno 1989 n. 2694, 21 ottobre 1993 n. 10705, 15 luglio 1993 n. 78304; Consiglio di Stato sez. 4^, 25 giugno 1993 n. 457;Consiglio di Stato sez. 6^, 16 settembre 2002 n. 4644). La interpretazione riportata costituisce, anzi, il presupposto logico per la censura dei ricorrenti, i quali rilevano che il comportamento del Teatro San Carlo integra un illecito permanente che, seppure iniziato nel 1988, permane tuttora, e pertanto secondo la giurisprudenza di queste sezioni unite (sentt. 6328/2005, 1622/2005, 6422/2005), la giurisdizione compete al giudice avente giurisdizione al momento di cessazione della permanenza e, quindi, poiché nella specie il comportamento illecito è proseguito dopo il 30 giugno 1998, al giudice ordinario. Essi però non contestano specificamente la motivazione della sentenza impugnata la quale, esaminando la medesima prospettazione, ha rilevato che, in base alle allegazioni di cui al ricorso di primo grado, il dedotto comportamento illecito dell’ente lirico risale sino (nel senso che è dedotto fino) all’aprile 1987, sicché non esiste un comportamento illecito attuale, dovendo il giudice pronunciarsi solo in relazione al petitum.Essendo la permanenza cessata prima del 30 giugno 1998, ed anche prima della trasformazione dell’ente lirico in Fondazione, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo per la domanda principale.Il rigetto di tale motivo comporta l’assorbimento del quarto, con il quale i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 5 c.p.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Essi concordano con il giudice di appello che l’art. 5 c.p.c. vigente all’epoca dell’introduzione del giudizio di primo grado ancora la giurisdizione alla situazione di fatto esistente al momento dell’introduzione del giudizio; rilevano che i mutamenti di diritto intervenuti, e cioè la generale devoluzione della giurisdizione al giudice ordinario nelle controversie in materia di pubblico impiego e la modifica della natura giuridica dell’ente convenuto, trasformato da ente pubblico non economico in fondazione di diritto privato, attribuiscono al giudice del lavoro la giurisdizione quand’anche non sussistente al momento della proposizione della domanda. Il motivo è assorbito perché rimane sempre la valutazione di fatto della sentenza impugnata, non adeguatamente contestata, che la permanenza è cessata nel 1987, e quindi in nessun momento il giudice ordinario ha avuto giurisdizione sul rapporto.Con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. in relazione alla L. 23 ottobre 1960, n. 1369, articolo 3, i ricorrenti sostengono la giurisdizione del giudice ordinario esclusivamente per la domanda subordinata di responsabilità del Teatro San Carlo ai sensi della L. 23 ottobre 1960, n. 1369, articolo 3.In effetti questa Corte ha affermato in passato che la controversia promossa dal dipendente dell’appaltatore per far valere la responsabilità in solido dell’ente pubblico committente, ai sensi della L. 23 ottobre 1960, n. 1369, articolo 3, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, perché la norma citata non attribuisce all’ente pubblico la posizione di datore di lavoro, bensì quella di coobbligato nei doveri dell’appaltatore verso i dipendenti (Cass. Sez. un. 18 dicembre 2002 n. 18054, Cass. Sez. un. 1 febbraio 1988 n. 928).Detto orientamento va riesaminato nel contesto della presente causa. Essa, proposta con il rito del lavoro nel 1988, 19 anni fa, e della quale non si vede una conclusione imminente, è emblematica degli effetti devastanti sulla durata del processo che possono avere alcune tradizionali tecnicalità processuali. L’applicazione dell’orientamento sopra riportato comporterebbe la devoluzione delle due domande, basate sulla esposizione dei medesimi fatti, ed attinenti alla medesima prestazione lavorativa, a due giurisdizioni differenti; la sospensione della causa sulla domanda dipendente fino al passaggio in giudicato della causa principale, la eventuale successiva riassunzione della causa sospesa.La Corte ritiene che la costituzionalizzazione del principio della ragionevole durata del processo imponga all’interprete una nuova sensibilità ed un nuovo approccio interpretativo, per cui ogni soluzione che si adotti nella risoluzione di questioni attinenti a norme sullo svolgimento del processo, deve essere verificata non solo sul piano tradizionale della sua coerenza logico concettuale, ma anche, e soprattutto, per il suo impatto operativo sulla realizzazione di detto obiettivo costituzionale. L’articolo 111 Cost., in combinazione con l’articolo 24, esprime dunque, quale mezzo imprescindibile al fine, un principio di concentrazione delle tutele (vedi, ad es., per la dichiarata incidenza del novellato art. 111 Cost. sulla estensione del principio di non contestazione al processo tributario: Cass. 24 gennaio 2007 n. 1540). Nel nostro ordinamento esiste già il principio della concentrazione processuale, di cui è espressione l’art. 40 c.p.c.; esso però vale nei limiti della competenza (Cass. Sez. un. 15 maggio 2003 n. 7621), e non vale a spostare la giurisdizione, salvo casi particolari, come quello previsto dall’art. 4 c.p.c., n. 3, sulla attrazione nella giurisdizione del giudice italiano di cause connesse dello straniero (Cass. Sez. un. 17 maggio 1995 n. 5391), o sulla prevalenza della giurisdizione ordinaria su quella arbitrale (Cass. 23 agosto 1990 n. 8608, Cass. 18 maggio 1979 n. 3099).Il principio costituzionale della precostituzione del giudice secondo legge (art. 25 Cost., comma 1) non esclude però che il giudice amministrativo, avente giurisdizione esclusiva sulla pretesa di rapporto di lavoro con ente pubblico, possa conoscere delle domande comunque originate dalla situazione lavorativa sulla quale ha giurisdizione.Applicando quanto sopra al caso in esame, queste Sezioni Unite devono enunciare il seguente principio di diritto, in coerenza con la propria giurisprudenza sulla centralità della esposizione dei fatti ai fini della risposta giudiziaria (Cass. Sez. un. 3 febbraio 1998 n. 1099): “Ove il lavoratore proponga, sulla base della esposizione dei medesimi fatti attinenti ad una stessa prestazione lavorativa, due domande in via alternativa, la cui decisione dipenda dalla qualificazione giuridica dei fatti emersi in causa, una principale, appartenente alla giurisdizione amministrativa (L. 23 ottobre 1960, n. 1369, ex art. 1 con ente pubblico ante 30 giugno 1998), ed una subordinata (ex art. 3 cit. legge) in cui l’ente pubblico viene evocato non come datore di lavoro ma come coobbligato al rispetto dei minimi retributivi, il principio di concentrazione delle tutele insito nell’articolo 111 Cost. impone di ritenere che il giudice amministrativo avente giurisdizione sulla domanda principale possa e debba conoscere di tutte le pretese originate dalla situazione lavorativa dedotta”.Si deve pertanto rigettare il ricorso a dichiarare la giurisdizione del giudice amministrativo su entrambe le domande.Le spese del presente giudizio sono compensate.P.Q.M.rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo. Compensa le spese del presente giudizio. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 6 febbraio 2007.Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2007