Guida in stato di ebbrezza con un’auto in leasing? Sequestro legittimo Cassazione penale , sez. IV, sentenza 18.03.2010 n° 10688
E’ legittimo il sequestro di un veicolo, alla cui guida il
conducente è stato sorpreso in stato di ebbrezza ex art. 186, comma 2,
lett. c) del C.d.S., detenuto in forza di un contratto di leasing.
Così
ha stabilito la sentenza 18 marzo 2010 n. 10688, con la quale la IV
Sezione della Suprema Corte è tornata ad interessarsi della materia
attinente all’applicazione della sequestro prodromico alla successiva
confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato sopra
menzionato.
Nel caso di specie l’imputato presenta istanza di
Riesame avverso la pronuncia del G.I.P. con cui viene convalidato il
sequestro di una vettura, asserendo la non confiscabilità in quanto
bene nella disponibilità di una Banca in virtù di un contratto di
leasing, nonché l’insussistenza del “periculum in mora”.
Il
Tribunale della Libertà rigetta il gravame e l’imputato ricorre in
Cassazione. Tuttavia, la Corte, nel dichiarare l’inammissibilità del
ricorso, afferma che il concetto di “appartenenza” del bene al soggetto
al quale è attribuita la materiale disponibilità dello stesso non
implica esclusivamente una mera proprietà astratta della “res”, bensì, anche, un diritto al suo godimento, con la ovvia conseguenza di escludere i terzi.
Difatti,
come rilevano gli ermellini, il bene detenuto in forza di tale
contratto “appartiene” al soggetto al quale è stata attribuita la
materiale disponibilità del bene stesso, per cui “non può revocarsi
in dubbio la sussistenza del “periculum in mora” derivante dalla
disponibilità del veicolo da parte del soggetto sorpreso a guidarlo in
condizioni ritenute pericolose per la sicurezza della circolazione”
Conseguenza
di tale asserzione è che, al fine di ottenere la restituzione del bene
in parola, dovrà essere la società di leasing – quale soggetto estraneo
al reato – a dimostrare la cessazione del contratto.
Brevi cenni sul concetto di appartenenza del bene e di estraneità al reato. Due precedenti giurisprudenziali.
In
tema di guida sotto l’effetto di alcool l’art. 186, comma 2, C.d.S.
prevede l’applicazione della confisca del veicolo con il quale è stato
commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona
estranea; allo stesso modo l’art. 240 c.p. esclude l’applicazione della
misura se i beni appartengano a terzi, estranei al reato, di modo che
le cose devono essere restituite e non potranno essere confiscate.
Sorge, quindi, una riflessione circa l’interferenza nel provvedimento
di confisca di beni appartenenti a persona estranea al reato, di talché
esiste un obbligo del giudice di accertare che i terzi non vantino un
diritto di proprietà incompatibile con la confisca, ovvero di
verificare la non «appartenenza» della cosa al terzo «estraneo al
reato».
Su quest’ultima locuzione, si è più volte espressa la
giurisprudenza della Cassazione penale, evidenziando, innanzitutto,
come non abbia nulla a che vedere con l’estraneità al procedimento
penale: è estraneo al reato «chi non ha nessun collegamento – diretto o
meno – con la consumazione del fatto, o chi non ha partecipato o
concorso in alcun modo, ancorché non punibile e non colui che, pur
implicato nel reato, sia sfuggito o non sia ancora sottoposto o venga
separatamente sottoposto a procedimento penale»[1].
Per quanto riguarda il concetto di «appartenenza», non vi è compreso
solo il diritto di proprietà ma anche i diritti reali di garanzia, i
quali fanno sì che il bene passi dalla disponibilità del proprietario a
quella del titolare della garanzia, per mezzo del quale soddisfa le sue
pretese; di conseguenza la cosa oggetto di garanzia non potrebbe, allo
stesso tempo, essere oggetto di un fatto di reato, né di confisca[2].
Pertanto,
entra in gioco un rapporto di inerenza tra la cosa e l’illecito, ossia
una relazione diretta, oggettiva di “asservimento”, nel senso che la
prima deve risultare oggettivamente collegata al secondo da un nesso
strumentale, in mancanza della quale viene meno la misura ablativa.
Orbene,
per quanto concerne più specificatamente la materia in esame – sulla
scia di una continua integrazione delle disposizioni del codice penale
da parte di numerose leggi speciali – sarebbe opportuno rammentare due
recentissime pronunce della Suprema Corte con le quali si è ribadita
una impostazione ermeneutica oramai consolidata attinente ai concetti
cui si è fatto innanzi cenno ed alla quale la sentenza n. 10688/10 non
può non essersi accostata.
Nella prima ipotesi[3]
posta al suo esame la Corte rigetta il ricorso volto alla illegittimità
di un provvedimento ex art. 186 C.d.S. e quindi alla restituzione di
una autovettura sequestrata a seguito del reato di cui si discute
avanzata da un soggetto diverso dall’imputato – la moglie – nel
relativo procedimento penale, ma comproprietario dello stesso bene, a
nulla rilevando la sua estraneità al reato, né tantomeno la
stipulazione di un contratto di finanziamento per il suo acquisto.
Similmente, nel secondo caso[4],
la Suprema Corte conferma la legittimità del provvedimento su ricorso
presentato dal medesimo imputato sul presupposto che l’autovettura
fosse in comproprietà di altra persone (la madre del ricorrente).
Orbene, gli elementi a supporto di entrambi i ricorsi non sono stati ritenuti ostativi al sequestro preventivo.
Invero,
con motivazioni pressoché analoghe nelle due ipotesi, i giudici di
legittimità hanno ribadito il principio secondo cui l’appartenenza a
persona estranea al reato è tale solo se il veicolo risulta nella
proprietà esclusiva del soggetto interessato alla restituzione, di
talché in caso di comproprietà del mezzo sequestrato e confiscato al
soggetto imputato del reato di cui all’art. 186 C.d.S., la stessa è
esclusa poiché “la presunzione di pericolosità derivante dall’uso del mezzo rimane integra”.
Invero, secondo i Cassazionisti, tale “presunzione si attenua solamente nel caso in cui il bene appartenga a persona totalmente estranea”, stante la finalità della misura cautelare volta alla confiscabilità della quota di proprietà dell’imputato “ove
evitare che il bene sia disperso e che, ritornando nella disponibilità
dei comproprietari, possa essere nuovamente usato dal trasgressore,
fermo restando la possibilità del comproprietario non imputato di
rivalersi sul prezzo ricavabile dalla vendita della autovettura”.
Ciò
ha consentito di statuire che, se dal certificato di proprietà della
vettura risulta che la stessa è intestata a due soggetti, di cui uno è
imputato del reato di cui all’art. 186 C.d.S., non si rinviene alcun
elemento che dimostri l’esclusiva proprietà in capo all’altro non
imputato, per cui deve essere negata la qualifica di persona estranea
al reato e, pertanto, la restituzione del bene.
Pertanto, anche
nelle ipotesi appena illustrate, cosi come in quella oggetto della
sentenza n. 10688/10, la Suprema Corte ritiene che il disposto di cui
all’art. 186 C.d.S. abbia la finalità di evitare che, con la
restituzione del bene sequestrato, lo stesso sia disperso e possa,
altresì, ritornare nella disponibilità del soggetto imputato; da qui la
legittimità del provvedimento che conferma la ratio della norma in esame.
Invero
a parere degli ermellini, se da tale disposizione si desume la natura
obbligatoria della confisca, l’ulteriore richiamo all’art. 240, comma
2, c.p. impone che nell’ipotesi di sequestro ex art. 321, comma 2,
c.p.p. sussiste una presunzione di legge circa la ravvisabilità del “periculum in mora”, con l’ovvia conseguenza che lo stesso non deve essere accertato caso per caso.
________________
[1] Vedi, tra le altre, Cass. Sez. I, 2/05/2000, Preka, in Riv. pen., 2000, p. 788.
[2]
Infatti in dottrina prevale l’opinione secondo cui il concetto di
appartenenza ex art. 240 c.p. abbia portata più ampia del diritto di
proprietà, essendo sufficiente che le cose da confiscare non siano di
coloro che partecipino alla commissione del reato o utilizzino profitti
che ne sono derivati. V. Romano, Grasso, Padovani, Commentario sistematico del codice di procedura penale, 1994.
[3] Cass., Sez. IV, sentenza 24.06.09 n. 28189.
[4] Cass., Sez. IV., sentenza 06.05.09, n. 24015.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 11 febbraio – 18 marzo 2010, n. 10688
(Presidente Mocali – Relatore Romis)
Osserva
Con
decreto del 10 giugno 2009 il G.I.P. presso il Tribunale di Fermo
convalidava il sequestro preventivo della vettura Audi Q7 tg. ****
nella disponibilità di D. E., in relazione al reato di guida in stato
di ebbrezza ai sensi dell’art. 186, secondo comma, del codice della
strada.
Avverso detto provvedimento, il D. presentava istanza di
riesame basata sull’asserita non confiscabilità del veicolo, in quanto
nella disponibilità del D. in virtù di contratto di leasing e quindi
intestato a terzi; l’istante prospettava altresì l’insussistenza del
“periculum in mora” per essergli stata ritirata, e quindi sospesa, la
patente di guida.
Il Tribunale di Fermo – in funzione di giudice
del riesame – rigettava il gravame rilevando che: 1) a nulla rilevava
che il veicolo fosse intestato a terzi (nella specie, alla “Banca
Italease”), essendo stato accertato che l’indagato aveva la
disponibilità del veicolo stesso, e trattandosi di una “res” in
evidente rapporto di strumentalità rispetto al reato: di tal che
l’auto, se lasciata nella libera disponibilità dell’indagato, avrebbe
comportato pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze
del reato, ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti
penalmente rilevanti; 2) quanto al “periculum in mora”, la sospensione
della patente, anche perché misura temporanea, non avrebbe di certo
impedito la reiterazione di analoghe condotte.
Ricorre per
cassazione l’indagato, a mezzo del difensore, reiterando la tesi della
non confiscabilità del bene perché appartenente a terzi, e sostenendo
che la sospensione della patente di guida avrebbe fatto venir meno il
“periculum in mora”.
All’odierna udienza, il difensore
dell’indagato ha rappresentato che il contratto di leasing è stato
risolto e che quindi l’auto in questione è rientrata nella piena ed
esclusiva disponibilità della “Banca Italease”.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito indicate.
Tenuto
conto della natura e degli effetti di un contratto di leasing, non v’è
dubbio che un bene detenuto in forza di tale contratto “appartiene” al
soggetto al quale è stata attribuita la materiale disponibilità del
bene stesso: ed invero, “appartenenza” non significa astrattamente
proprietà di una “res”, ma sostanzialmente diritto di goderne e
disporne sulla base di titolo che esclude i terzi (caratteristica
propria del leasing). Muovendo da tale presupposto, appare evidente
dunque la legittimità del sequestro di un veicolo il cui conducente,
sorpreso alla guida di quel veicolo in stato di ebbrezza ai sensi
dell’art. 186, comma secondo, lett. c), del codice della strada, ne
abbia la disponibilità in forza di un contratto di leasing: anche in
tal caso, infatti, non può revocarsi in dubbio la sussistenza del
“periculum in mora” derivante dalla disponibilità del veicolo da parte
del soggetto sorpreso a guidarlo in condizioni ritenute pericolose per
la sicurezza della circolazione; la stessa società di leasing, per
riavere la materiale disponibilità di un veicolo concesso a terzi in
virtù di contratto di leasing, dovrebbe dimostrare che il contratto é
cessato e che, conseguentemente, é sorto il suo diritto alla
restituzione.
Correttamente il Tribunale del riesame ha poi
ritenuto, con argomentazioni assolutamente condivisibili, del tutto
irrilevante la sospensione della patente di guida del D. ai fini del
“periculum in mora”.
Donde la manifesta infondatezza delle dedotte censure.
Ai
rilievi che precedono, pur di carattere decisivo ed assorbente, deve
inoltre aggiungersi, “ad abundantiam”, che all’odierna udienza (cfr.
verbale di udienza) il difensore dell’indagato, nell’illustrare la tesi
difensiva, insistendo per l’accoglimento del ricorso, ha precisato che
il contratto di leasing è stato risolto e l’auto in sequestro è
rientrata nella piena disponibilità, formale e sostanziale, della
società “Banca Italease”: orbene, è, dunque, anche cessato qualsiasi
interesse dell’indagato alla restituzione dell’auto stessa. Sarà onere
della predetta società – in quanto soggetto “estraneo al reato” – far
valere eventualmente le sue ragioni nella sede opportuna.
Alla
declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché (trattandosi di
causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa,
del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 186 del 7-13 giugno
2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che
si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara
inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa
delle ammende.