Ha due lauree ma non lavora: ha diritto all’assegno divorzile, sia pure "tagliato"
Sì all’assegno divorzile anche il coniuge cosiddetto “debole” è
abilitato all’esercizio di una professione ma mostra di non avere
entrate. L’onerato, che è pure affidatario del figlio minore, riesce
solo a ottenere una riduzione del contributo economico. È quanto emerge
dalla sentenza 23409/09, emessa dalla prima sezione civile della
Cassazione. Mentre lui fa il dentista, lei non lavora. Eppure è
laureata in psicologia e lingue: dispone, insomma, di capacità
lavorative. Risulta comunque ben motivata la sentenza d’appello che
conferma il diritto al trattamento economico, sia pur riducendolo da
516,45 a 380 euro al mese (la signora ne chiedeva 1.650 per sé e per il
figlio, che resterà con il padre). L’ex marito rientra in possesso
della parte di casa coniugale “prestata” a lei, ma gli non giova
eccepire che il recupero è a “reddito zero”, anzi si vede rinfacciare
uno scarso impegno nell’attività professionale o almeno dichiarazioni
fiscali “sospette”. Se il giudice del divorzio accerta un divario
economico fra gli ex coniugi, infatti, può determinare l’assegno senza
valutare uno per uno gli elementi di cui all’articolo 5, comma 6, della
legge 898/70, a partire dalla durata del matrimonio. Non conta che lei
aveva rinunciato all’assegno all’epoca in sede di separazione
consensuale. L’assegno divorzile ha natura assistenziale e l’assenza di
reddito in capo alla beneficiaria non solo non è smentita ma risulta
invocata dall’onerato a sostegno delle sue tesi: la riduzione
dell’importo stabilito in primo grado è decisa proprio tenendo conto
della potenzialità professionale di lei, che intanto ha frequentato un
corso di formazione. La regola non cambia: all’ex coniuge bisogna
sempre assicurare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.