I lavoratori a tempo determinato hanno diritto di fruire dei permessi retribuiti per motivi di studio
Corte di Cassazione, Sez. Lav., 17 febbraio 2011, n. 3871)
La vicenda oggetto della sentenza n. 3871/2011 riguarda un dipendente del Ministero della Giustizia assunto a tempo determinato al quale veniva negata la possibilità di fruire dei permessi retribuiti per motivi di studio, stante il carattere temporaneo del proprio rapporto di lavoro.
Secondo il Ministero delle Giustizia, infatti, ai sensi dell’art. 13 del c.c.n.l. del contratto di categoria del 16 maggio 2001, questi permessi avrebbero potuto essere concessi solo al personale assunto a tempo indeterminato.
Il lavoratore, ritenendo violati i propri diritti, conveniva in giudizio l’Amministrazione di appartenenza e la Corte di merito, accogliendo la domanda del dipendente, rilevava che la disposizione della contrattazione colletiva che testualmente prevedeva i permessi di studio per i lavoratori a tempo indeterminato non poteva essere interpretata nel senso di escludere, invece, i lavoratori assunti a tempo determinato in quanto una clausola così intesa si sarebbe posta in evidente contrasto con il principio di non discriminazione sancito dalla direttiva CE n. 70 del 1999 e dall’art. 6 del d.lgs. n. 368 del 2001, attuativo di tale direttiva.
La decisione, confermata anche in appello, veniva quindi sottoposta al vaglio della Suprema Corte dal Ministero della Giustizia.
La Corte di Cassazione, uniformandosi alle precedenti pronunce di merito, ha affermato che l’esclusione dai permessi di studio non può conseguire in maniera automatica dal fatto che il contratto preveda un termine di durata (e questo nel rispetto del principio di non discriminazione, come recepito nel D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6); ma che, al contrario, il mancato riconoscimento ai lavoratori a tempo determinato di trattamenti previsti per i lavoratori a tempo indeterminato è ammesso esclusivamente in ragione di un’oggettiva incompatibilità riferita, in concreto, alla natura del singolo rapporto a termine.
La Corte ha, quindi, affermato, nel caso di specie, il seguente principio di diritto: “In base ad un’interpretazione coerente con il principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo determinato, sancito dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 6, in attuazione della direttiva comunitaria 70/1999 relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES, deve ritenersi che l’art. 13 del c.c.n.l. del 16 maggio 2001, relativo al comparto Ministeri e integrativo del precedente c.c.n.l. del 16 febbraio 1999, nel prevedere la fruibilità di permessi retribuiti per motivi di studio, nella misura di 150 ore, da parte dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non esclude che i medesimi permessi debbano essere concessi a dipendenti assunti a tempo determinato, sempre che non vi sia un’obiettiva incompatibilità in relazione alla natura del singolo contratto a termine; nè l’esclusione del beneficio potrebbe giustificarsi, in ragione della mera apposizione del termine di durata contrattuale, per l’assenza di uno specifico interesse della pubblica amministrazione alla elevazione culturale dei dipendenti, giacchè la fruizione dei permessi di studio prescinde dalla sussistenza di un tale interesse in capo al datore di lavoro, pubblico o privato, essendo riconducibile a diritti fondamentali della persona, garantiti dalla Costituzione (artt. 2 e 34 Cost.) e dalla Convenzione dei diritti dell’uomo (art. 2 Protocollo addizionale CEDU), e tutelati dalla legge in relazione ai diritti dei lavoratori studenti (L. n. 300 del 1970, art. 10)”.