Il capo non ha fatto la valutazione dei rischi? I contratti a termine diventano a tempo indeterminato
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 5241 del 2 aprile 2012, ha affermato che “La clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni (NDR: attualmente il dlgs 626/1994 è stato sostituito dal “Testo unico sulla salute e sicurezza sui luoghi lavoro” D.lgs 81/2008), è nulla per contrarietà a norma imperativa e il contratto di lavoro si considera a tempo indeterminato”. In particolare la Suprema Corte, accogliendo il ricorso di un lavoratore a tempo determinato che contestava l’assenza della valutazione dei rischi e chiedeva l’assunzione a tempo indeterminato, ha precisato che – alla luce dell’art. 3 del D.Lgs n. 368 del 2011 (che introduce una serie di divieti all’apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato) -, “la valutazione dei rischi assurge a presupposto di legittimità del contratto, trovando la ratio legis nella più intensa protezione dei rapporti di lavoro sorti mediante l’utilizzo di contratti atipici, flessibili e a termine, ove incidono aspetti peculiari quali la minor familiarità del lavoratore e della lavoratrice sia con l’ambiente di lavoro sia con gli strumenti di lavoro a cagione della minore esperienza e della minore formazione, unite alla minore professionalità e ad un’attenuata motivazione”. L’ordinamento esprime il proprio disvalore verso l’inosservanza degli adempimenti in tema di sicurezza dei luoghi di lavoro vietando al datore di lavoro, che la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori non abbia effettuato, di stipulare il contratto di lavoro a termine con la conseguenza che il termine eventualmente apposto risulta nullo per contrarietà ad una norma imperativa. Tale nullità comporta la nullità dell’opzione contrattuale relativa all’ipotesi derogatoria (contratto di lavoro a termine) e la validità, invece, del contratto di lavoro secondo la regola generale del contratto di lavoro a tempo indeterminato. Quanto alle conseguenze della conversione, i giudici di legittimità, affermano l’applicabilità delle norme del cd. collegato lavoro (L. 183/2010). Ne consegue, pertanto, la condanna del datore di lavoro al pagamento in favore del lavoratore di una somma compresa fra le 2,5 e le 12 mensilità a titolo di indennità omnicomprensiva come una sorta di penale stabilita dalla legge – in stretta connessione funzionale con la declaratoria di conversione del rapporto di lavoro – a carico del datore di lavoro per la nullità del termine apposto al contratto di lavoro e determinata dal giudice nei limiti e con i criteri dettati dalla legge, a prescindere sia dall’esistenza del danno effettivamente subito dal lavoratore, sia dalla messa in mora del datore di lavoro, con carattere “forfetizzato”, “onnicomprensivo” di ogni danno subito per effetto della nullità del termine, nel periodo che va dalla scadenza dello stesso fino alla sentenza che ne accerta la nullità e dichiara la conversione del rapporto.