Il Cdm impugna tre leggi regionali su precari e professioni sanitarie
Tre leggi regionali impugnate dal Consiglio dei ministri. È stata impugnata la legge regionale della Puglia n. 4/2010,
che contiene norme urgenti in materia di sanità e servizi sociali. Nel
mirino di Palazzo Chigi alcune disposizioni regionali che prevedono la
stabilizzazione e l’inquadramento di personale sanitario precario anche
della dirigenza medica, in contrasto, spiega una nota del palazzo, con
il principio del pubblico concorso, e con i nuovi principi fondamentali
in materia di coordinamento della finanza pubblica che, in sostituzione
delle procedure di stabilizzazione consentite dalla legislazione
statale, stabiliscono nuove modalità di valorizzazione dell’esperienza
professionale acquisita dal personale non dirigente attraverso
l’espletamento di concorsi pubblici con parziale riserva dei posti. Le
stabilizzazioni e gli inquadramenti che interessano i medici risultano
anche in contrasto con la legislazione statale che regolamenta
l’accesso alla dirigenza medica. Ultimo appunto: le disposizioni sono
prive di copertura finanziaria.
Impugnata anche la legge regionale della Puglia n. 5/2010 che
consente la stabilizzazione di personale a tempo determinato
dell’Agenzia per il diritto allo studio universitario, violando la
regola del pubblico concorso per l’accesso alla pubblica
amministrazione, più volte ribadita dalla Corte Costituzionale, in
contrasto con i principi di imparzialità e buon andamento della
Pubblica amministrazione.
Impugnata anche la legge regionale del Veneto n. 17/2010 che
istituisce le direzioni aziendali delle professioni sanitarie
infermieristiche e ostetriche e le direzioni generali delle professioni
riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione. «Alcune
disposizioni regionali, infatti, prevedendo l’istituzione delle
direzioni aziendali e delle loro articolazioni – spiega una nota –
senza specificare che all`istituzione dei relativi posti si provvede
attraverso modificazioni compensative della dotazione organica
complessiva aziendale (come disposto nel contratto collettivo), e senza
prevedere la copertura finanziaria dei maggiori oneri di spesa
sicuramente derivanti dall’istituzione delle nuove direzioni, violano
il principio costituzionale secondo il quale leggi che importino nuove
e maggiori spese devono indicare mezzi per farvi fronte. Le
disposizioni violano, poi, spiega la nota, il principio di buon
andamento della pubblica amministrazione e, intervenendo in materia
disciplinata dal contratto collettivo, incidono su competenze riservate
allo Stato.