Il consulente del lavoro è legittimato a pretendere il compenso per attività di natura fiscale e tributaria o per attività che non svolgono altri professionisti in via esclusiva
(Cassazione civile, sez. II, Sentenza 11.6.2010 n. 14085)
N.A., titolare della ditta xx, con atto notificato il 24 febbraio 2000 proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale gli era stato intimato dal Tribunale di Chiavari il pagamento in favore di B.R., consulente del lavoro, della somma di L. 6.793.200, eccependo in primo luogo che la ingiungente rivendicava nei suoi confronti compensi per prestazioni professionali riguardanti elaborazioni della contabilità, consulenza fiscale, dichiarazioni dei redditi, richiesta di certificati presso la C.C.I.A.A., ossia per attività che esulavano dalle competenze di un consulente del lavoro, in cui invece rientrava la cura di “tutti gli adempimenti previsti da norme vigenti per l’amministrazione del personale dipendente”, nonché lo svolgimento di ogni altra funzione ad essa “affine, connessa e conseguente” (ciò ai sensi della Legge Professionale 11 gennaio 1979, n. 12, art. 2). Poiché esso opponente non aveva dipendenti, le prestazioni per le quali la B. rivendicava il compenso, oltre a non essere ricomprese tra quelle elencate nell’art. 2 della citata legge, non potevano neppure considerarsi collaterali all’amministrazione del personale. Sempre secondo l’opponente, le attività per le quali la B. pretendeva di essere compensata rientravano tra quelle che il D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067, art. 1, riconosceva di competenza dei commercialisti regolarmente iscritti nel relativo albo professionale, con la conseguenza che la predetta, ai sensi dell’art. 2231 c.c., comma 1, non aveva azione nei suoi confronti per il relativo compenso. In subordine eccepiva l’eccessiva onerosità degli importi richiesti da controparte atteso che all’inizio dell’incarico aveva con la B. pattuito un compenso forfetario annuale di L. 1.200.000.
Chiedeva pertanto la revoca o l’annullamento dell’opposto decreto ed inoltre, in via riconvenzionale, che la B. venisse condannata:
a) a corrispondergli, salvo compensazione con l’eventuale credito riconosciuto alla predetta, la somma di L. 1.800.000, IVA compresa, per taluni lavori di idraulica da esso effettuati a favore della medesima, come risultanti da fattura del 22 dicembre 1997;
b) a risarcirgli i danni cagionatigli dalla mancata conclusione con la Roca Italia Spa di un contratto di assistenza tecnica per la manutenzione ed installazione di caldaie prodotte da tale società, con esclusiva nel T., mancata conclusione dovuta al fatto che la B., nell’eseguire l’incarico di iscrivere presso la C.C.I.A.A. l’impresa xx, aveva omesso di indicare nell’oggetto della stessa, nonostante esplicita richiesta, l’attività di installazione, trasformazione e manutenzione di caldaie ed impianti di riscaldamento.
La B., costituitasi in giudizio, contestava la fondatezza delle eccezioni e delle domande riconvenzionali fatte valere dall’opponente, chiedendone la reiezione;chiedeva altresì che la controparte venisse condannata a risarcirle i danni cagionatile ex art. 96 c.p.c.. Il Tribunale adito, con sentenza del 28 novembre 2000, respingeva l’opposizione ritenendo che i consulenti del lavoro potevano “esercitare attività tributaria” e, quanto all’ammontare del compenso, che conforme a legge era quello richiesto dalla creditrice perchè confermato dal Presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro mentre il patto forfetario relativo a tale compenso invocato dall’opponente non risultava concluso, ma solo proposto dal predetto;dichiarava inammissibile la domanda riconvenzionale non risultando essa dipendere né dal titolo dedotto in giudizio né da quello che apparteneva alla causa come mezzo di eccezione;respingeva la domanda riconvenzionale per i danni perchè l’iscrizione della xx presso la C.C.I.A.A. Era stata posta in essere sulla base delle indicazioni di un modulo sottoscritto dal titolare della ditta opponente;condannava il N. a corrispondere alla B. la somma di L. 500.000 a titolo di danni ex art. 96 c.p.c., oltre alle spese del giudizio. Proposto gravame dal N. e costituitasi in giudizio la B. che resisteva all’impugnazione chiedendo la conferma della gravata decisione con vittoria delle maggiori spese del grado e condanna di controparte per lite temeraria ex art. 96 c.p.c., la Corte d’appello di Genova, con sentenza del 20 ottobre 2004, in parziale riforma della pronunzia di prime cure accoglieva l’opposizione proposta dal N. avverso il decreto ingiuntivo, revocandolo e respingeva la relativa domanda proposta dalla B.; escludeva la responsabilità del N. ex art. 96 c.p.c., e compensava tra le parti le spese del doppio grado…