Il contribuente può contestare la cartella tributaria anche se emessa in base alle sue dichiarazioni
Non è necessario che il contribuente versi quanto chiesto dal fisco per poi presentare domanda di rimborso, impugnando il silenzio-rigetto. Lo ha ribadito la Cassazione, con l’ordinanza 4003/13.
Il caso
Le Commissioni Tributarie, provinciale e regionale, respingono ricorso ed appello di un professionista che sostiene «il non assoggettamento ad IRAP dei suoi redditi professionali relativi all’attività svolta nell’anno 2003». Il motivo è semplice: la contestazione è rivolta «contro la cartella di pagamento emessa a seguito della denuncia dei redditi presentata dal contribuente stesso». Ma anche le proprie dichiarazioni possono essere sbagliate. La Corte di Cassazione, chiamata ad esprimersi, ricorda che «il contribuente può contestare una pretesa tributaria anche in sede di impugnazione della cartella emessa sulla base delle sue dichiarazioni: purché ovviamente tale cartella costituisca il primo atto con cui la pretesa viene portata a conoscenza dei contribuente». Già con la sentenza 9872/2011 la Cassazione aveva specificato che il contribuente, anche emendando quanto affermato nella sua precedente dichiarazione, può contestare «l’atto impositivo che lo assoggetti ad oneri diversi e più gravosi di quelli che, per legge, devono restare a suo carico; e tale contestazione deve farla proprio impugnando la cartella esattoriale, non essendogli consentito di esercitare l’azione di rimborso dopo il pagamento della cartella». Se non viene impugnata la cartella è precluso il rimborso dei versamenti diretti. Quindi, vista l’errata motivazione di respingimento della Commissione Tributaria Regionale, la Suprema Corte cancella la sentenza impugnata e rinvia la controversia ad altra sezione dello stesso organo giudicante.
fonte: www.lastampa.it