Il dipendente può essere licenziato per scarso rendimento
È
legittimo il licenziamento di un dipendente che ha uno “scarso rendimento”
rispetto al livello di produttività “media” dei colleghi.
Lo ha
stabilito la Corte di cassazione che, con una sentenza di ieri, ha
confermato il licenziamento in tronco di un operaio al quale era stato
contestato molte volte di aver un livello di rendimento molto più basso
rispetto a quello sostenuto mediamente dai colleghi.
Lui si era difeso
sostenendo di essere stato demansionato ma, a questa obiezione, l’azienda
aveva risposto che aveva accettato il nuovo incarico e che quindi avrebbe
dovuto portarlo avanti con una certa diligenza.
Contro il
licenziamento l’operaio aveva fatto ricorso al Tribunale di Brescia ma
aveva perso. La decisione era stata poi confermata dalla Corte d’Appello.
In Cassazione le cose non sono migliorate. Infatti, la sezione lavoro ha
respinto il ricorso del dipendente, sul fronte del licenziamento e lo ha
accolto sul punto della mancata indennità di preavviso che gli spettava
essendo stato licenziato in tronco. In particolare gli Ermellini,
condividendo le motivazioni rese dalla Corte d’Appello, hanno chiarito che
“insussistenti appaiono i vizi di motivazione che formano oggetto della
censura, se si considera che la corte territoriale non ha desunto la prova
dello scarso rendimento addebitato dagli illeciti disciplinari
precedentemente contestati, ma ha, piuttosto, operato una valutazione
complessiva dei fatti addebitati nel corso dell’ultimo anno del rapporto
di lavoro, pervenendo alla conclusione che nelle contestazioni di scarso
rendimento del settembre e dell’ottobre 2003…i d ati numerici sono
analiticamente indicati articolo per articolo…e il raffronto con la
contestazione del 18.4.2003 consente di affermare che anche le prestazioni
relative a giugno-luglio, settembre e ottobre 2003 sono al disotto della
media, sia pure assumendo come media i 110 pezzi orari esposti per le
padelle più grandi, anziché i 30 esposti per le padelle di diametro
inferiore”.
Insomma l’operaio aveva torto – secondo gli Ermellini-
perché, “a fronte di una produttività del tutto inferiore alla media, pur
asserendo di aver lavorato con la normale diligenza, non aveva, in realtà,
contestato né che la media aziendale oraria per un lavoratore addetto alla
spianatura del fondo delle padelle fosse quella indicata dal datore di
lavoro, né che per esso fosse impossibile raggiungere quella media”. Il
che ha indotto i giudici di merito a ritenere “provato”, facendo corretta
“applicazione della giurisprudenza di questa Corte, sulla scorta della
valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore ed in base agli
elementi dimostrati dal datore di lavoro”, una evidente “violazione della
diligente collaborazione dovuta dal dipendente”. Collaborazione venuta
meno appunto perché era stata accertata “sproporzione fra la media
produttiva degli altri lavoratori addetti allo stesso settore e quanto
effettivamente realizzato dall’operaio”.