Il familiare convivente con una persona disabile ha diritto di scegliere la sede lavorativa più vicina
Corte Suprema di Cassazione Sezioni Unite Civile Sentenza n. 7945/2008
deposito del 27 marzo 2008
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Foggia dichiarava il diritto della ricorrente A. B. D.L., moglie convivente di V.S., portatore di handicap, al posto di lavoro presso
Avverso tale sentenza proponevano appello principale il Ministero e l’Agenzia delle Dogane ed incidentale
L’appello incidentale non poteva trovare invece accoglimento perché non potendosi condividere l’assunto della D.L. che il danno esistenziale era in re ipso, e perché il danno biologico postulava la prova specifica di alterazioni psico- fisiche pregiudizievoli alla salute del lavoratore, nel caso di specie mancante.
Avverso tale decisione il Ministero e l’Agenzia delle Dogane propongono ricorso principale incidentale, affidato a quattro motivi. Resiste con controricorso
Motivi della decisione
1. Ai sensi dell’art. 335 c.p.c, il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti perché proposti ambedue contro una medesima decisione.
2. Con il primo motivo del ricorso principale il Ministero deduce violazione delle norme e dei principi in materia di giurisdizione con riferimento all’art. 63 del d. lgs. 165 del 2001 (art. 360 n. 1 c.p.c). In particolare assume il ricorrente che nel caso di specie deve riconoscersi la giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di controversia riguardante la procedura concorsuale, atteso che la graduatoria definitiva teneva conto, non solo del punteggio di merito, ma anche dei titoli preferenziali idonei ad incidere sulla graduatoria stessa, sicché non era di scarso rilievo la circostanza che
Con il secondo motivo del ricorso il Ministero lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 nonché omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Sostiene al riguardo il ricorrente che il giudice d’appello, nel rigettare il gravame da esso proposto, ha errato nel qualificare la posizione di vantaggio ex art. 33 citato come un vero e proprio diritto soggettivo di scelta nella sede più vicina in capo al lavoratore-familiare del portatore di handicap; ed ha ugualmente errato nel reputare che spettasse al datore di lavoro fornire la prova di un interesse organizzativo della pubblica amministrazione volto ad impedire l’esercizio del diritto del familiare del disabile a tale scelta. Di contro il legislatore, nell’ambito della disciplina di cui alla “legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate” (legge n. 104 del 1992) ha introdotto il diritto di scelta prioritaria in sede concorsuale, ma lo ha fatto solamente in favore dei soggetti portatori di handicap vincitori di concorso, ed analogo diritto di scelta non ha inteso invece prevedere con l’art. 33, quinto comma, in favore dei dipendenti vincitori di concorso pubblico che assistono familiari entro il terzo grado portatori di handicap. In altri termini una diversa interpretazione del citato art. 33 finirebbe per risolversi in una surrettizia introduzione di un titolo di precedenza non espressamente previsto -ed anzi escluso – dal legislatore.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 132 n. 4, degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c, degli artt. 2043 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c, nonché insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, deducendo che non era risarcibile il danno consistente nel pagamento delle rette corrisposte dalla ricorrente perché la prima assegnazione a Lodi era da ritenersi legittima, ed assumendo altresì che non era dovuto neanche il ristoro per spese dei viaggi effettuati, la cui frequenza era dovuta a libera scelta della D.L..
Con il quarto motivo il Ministero deduce infine violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e delle regole in tema di litisconsorzio necessario per omessa partecipazione degli altri dipendenti collocatisi in posizione migliore di essa D.L. stante la incidenza di una pronunzia favorevole su tutta la graduatoria ed, in particolare, sulla sede da assegnare agli altri dipendenti in seguito alla nuova scelta dell’ A., altro concorrente.
3. Esigenze di un ordinato iter argomentativo inducono all’esame del primo e quarto motivo del ricorso attinenti a questioni che si antepongono sul piano logico-giuridico al secondo e terzo motivo.
4. Detti motivi sono infondati.
4.1.
4.2. Orbene, nel caso di specie, con un accertamento di fatto non contestabile in questa sede di legittimità né specificamente censurato, i giudici d’appello hanno evidenziato che al riferimento cronologico che il Ministero ha fatto al bando di concorso va contrapposta l’assunzione della D.L. con contratto, che per essere intervenuto tra le parti il 5 dicembre 2001, determina – ratione temporis per essere successivo alla data del 30 giugno 1998 – la giurisdizione del giudice ordinario stante il disposto dell’art. 45, comma 17, del d. lgs n. 80 del 1998 (ora art. 69, comma 7, d. lgs. n. 165 del 2001).
4.3. La circostanza che il thema decidendum non investe la procedura concorsuale ma l’atto di assunzione al lavoro della D.L. rivela poi la infondatezza del quarto motivo del ricorso in quanto l’eccepita nullità della sentenza impugnata – per il mancato rispetto dei principi del litisconsorzio necessario e per la carenza di un completo contraddittorio tra le parti del giudizio – si incentra su interessi attinenti alla procedura concorsuale laddove nel caso di specie, come si è visto, la lite ha per oggetto il diritto sorto con l’assunzione al lavoro e, quindi, in un tempo successivo all’esaurimento della procedura concorsuale. 5. Anche il secondo ed il terzo motivo del ricorso risultano privi di fondamento.
6.1. Come ha osservato correttamente il giudice d’appello la posizione di vantaggio ex art. 33 si presenta come un vero e proprio diritto soggettivo di scelta da parte del familiare-lavoratore che presta assistenza con continuità a persone che sono ad esse legate da uno stretto vincolo di parentela o di affinità. La ratio di una siffatta posizione soggettiva va individuata nella tutela della salute psico-fisica del portatore di handicap nonché in un riconoscimento del valore della convivenza familiare come luogo naturale di solidarietà tra i suoi componenti. A tale riguardo va evidenziato che
6.2. In questa occasione
7. Nonostante l’innegabile sua portata sociale la disposizione scrutinata non può però far ritenere che il diritto del genitore o del familiare lavoratore dell’handicappato di scegliere la sede più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito in altra sede senza il suo consenso sia un diritto assoluto o illimitato in quanto presuppone, oltre agli altri requisiti esplicitamente previsti dalla legge, altresì la compatibilità con l’interesse comune posto che secondo il legislatore – come è dimostrato anche dalla presenza dell’inciso “ove possibile” – il diritto alla tutela dell’handicappato non può essere fatto valere quando il relativo esercizio venga a ledere in maniera consistente le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro, in quanto ciò può tradursi -soprattutto per quel che riguarda i rapporti di lavoro pubblico – in un danno per la collettività (cfr.: Cass. 29 settembre 2002 n. 12692). In questo caso quindi il diritto del familiare-lavoratore deve bilanciarsi con altri interessi, che trovano anche essi una copertura costituzionale, sicché il riconoscimento del diritto del lavoratore- familiare può – a seconda delle situazioni fattuali a fronte delle quali si intenda farlo valere – cedere a rilevanti esigenze economiche, organizzative o produttive dell’impresa ,e per quanto riguarda i rapporti di lavoro pubblico, ad interessi della collettività ostativi di fatto alla operatività della scelta ex art. 33, coma 5, del d. lgs. n. 104 del 1992.
7.1. La prova della sussistenza delle ragioni impeditive del diritto alla scelta delle sede fa carico poi,contrariamente a quanto sostenuto dal Ministero, sul datore di lavoro. A tale conclusione conducono la lettera della legge, la considerazione che le ragioni da provare sono a diretta e più agevole conoscenza del datore di lavoro, ed infine il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità in tema di trasferimento ex art. 21103, ultimo comma, c.c.(per l’affermazione che le ragioni tecniche, organizzative e produttive, poste a base del trasferimento da una unità produttiva ad altra del lavoratore, debbano essere provate dal datore di lavoro cfr. explurimis: Cass. 22 marzo 2005 n. 6117, Cass. 15 maggio 2004 n. 9290).
7.2. Alla stregua di quanto sinora esposto la sentenza impugnata – dopo avere proceduto ad una attenta valutazione delle risultanze istruttorie – ha riconosciuto il diritto della D.L. alla sede dalla stessa richiesta, per esservi un posto vuoto in organico a Bari, per essere stato tale posto riservato ai vincitori del concorso e per avere la lavoratrice portato a conoscenza dell’amministrazione la sua situazione familiare. Di contro non è stato provato dal Ministero un interesse organizzativo di segno contrario né un danno per la collettività dalla assegnazione delle sede di Bari alla D.L..
7.3 Per concludere sul punto, la sentenza impugnata va confermata avendo fatto corretta applicazione del principio di diritto che, ai sensi dell’art. 384, comma 1, c.p.c, va così enunciato: “Alla stregua dell’art. 33, comma 5, della legge 5 febbraio 1992 n. 104, il diritto del genitore o del familiare lavoratore che assiste con continuità un handicappato di scegliere la sede lavorativa più vicino al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso non si configura come un diritto assoluto o illimitato perché detto diritto può essere fatto valere allorquando – alla stregua della regola di un equo bilanciamento tra i diritti, tutti con rilevanza costituzionale – il suo esercizio finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive o organizzative del datore di lavoro e per tradursi – soprattutto nei casi in cui si sia in presenza di rapporti di lavoro pubblico – con l’interesse della collettività. Considerazioni queste la cui prova fa carico sulla parte datoriale privata e su quella pubblica”.
8. Neanche la censura riguardante la liquidazione dei danni a favore della lavoratrice può trovare accoglimento atteso che il giudice d’appello ha tenuto presente la documentazione acquisita ed ha supportato la sua decisione con una motivazione congrua, priva di salti logici e corretta sul versante giuridico atteso che ben potevano il giudice di primo grado e quello di appello – nella ritenuta certezza della esistenza di un danno subito a livello di spese sopportate dalla D.L. per la mancata iniziale assegnazione della sede di Bari e per una estrema difficoltà di quantificarne l’entità – ricorrere al criterio equitativo (per i presupposti necessari per legittimare una liquidazione equitativa cfr. tra le tante, in epoca recente: Cass. 11 luglio 2007 n. 15585; Cass. 7 giugno 2007 n. 13288).
9. Va rigettato anche il ricorso incidentale con il quale
9.1. La sentenza dei giudici d’appello per poggiare su una motivazione, ancora una volta esauriente e improntata a coerenza logica e rispettosa dei principi giuridici regolanti il risarcimento dei danni non è suscettibile di alcuna critica in questa sede di legittimità (cfr. al riguardo: Cass. 8 ottobre 2007 n. 20987, per la statuizione secondo cui il danno non patrimoniale, costituendo pur sempre un danno-conseguenza, deve essere specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, non potendo mai considerarsi “in re ipsa”).
10. Le spese del presente giudizio di cassazione – tenuto conto della natura della controversia e delle numerose questioni oggetto di esame – vanno interamente compensate tra le parti ricorrendo giusti motivi.
P.Q.M.