Il genitore che non riconosce i figli deve risarcire il danno causato
Il Tribunale di Roma con la sentenza 14-27 ottobre 2011 ha esaminato il caso di due sorelle quarantenni che avevano vissuto con la sola madre perché il padre si era rifiutato di riconoscerle e, alla morte di questa, con la nonna.
Le due donne non hanno avuto una vita facile: sono state tossicodipendenti, hanno scontato pene detentive e infine hanno iniziato un percorso di recupero presso una comunità.
Le attrici hanno agito per fare dichiarare giudizialmente la paternità naturale e hanno chiesto di conseguenza:
il rimborso delle somme dovute per il loro mantenimento fino alla domanda giudiziale;
l’emissione di un assegno alimentare mensile stante lo stato di bisogno;
il risarcimento del danno morale subito a causa della sofferenza derivante dalla privazione e dal sostegno della figura paterna.
Riconosciuta la filiazione naturale a seguito delle prove effettuate, i Giudici hanno esaminato le richieste di ordine patrimoniale e non patrimoniale.
Le prime due richieste non sono state accolte dal tribunale. Pur ribadendo il concetto che l’obbligazione di mantenimento retroagisce fino al giorno della nascita, una volta accertata la parentela naturale, le due figlie non erano legittimate a chiedere iure proprio il rimborso delle spese sostenute per il loro mantenimento. Gli unici soggetti legittimati, sarebbero stati la madre e la nonna le quali hanno provveduto anche per la parte del padre. Il Tribunale ha fatto proprio l’orientamento secondo cui i soggetti tenuti al mantenimento sono assimilabili ai condebitori solidali tra i quali è possibile il regresso.
In tal senso si è ormai orientata la Cassazione (Cass. Civ., sentenza 4 novembre 2010, n. 22506, Cass. civ., sez. III, sentenza 18 aprile 2005, n. 8007 e Cass. Civ., sez. I, sentenza 22 novembre 2000, n. 15063).
Anche per gli alimenti, accertata la mancanza di uno stato di bisogno, dovuta all’esistenza della capacità lavorativa e di produzione di reddito seppur minima, la domanda è stata respinta.
Importante, invece, la presa di posizione con riguardo al riconoscimento di un danno non patrimoniale qualificato come “danno morale”, causato dal comportamento dell’uomo che si è rifiutato di riconoscere le figlie e di provvedere a loro.
Così facendo avrebbe leso i diritti costituzionalmente garantiti delle proprie figlie ad essere mantenute, educate ed istruite (art. 30, Cost.) e le avrebbe private di una figura di riferimento importante causando grosse ripercussioni sulla loro vita.
Il Tribunale compie un espresso richiamo alla sentenza 11 novembre 2008, n. 26972 della Cassazione, resa a sezioni unite, la quale ammette la risarcibilità di un “danno non patrimoniale” come conseguenza di una condotta – che può anche non costituire reato – che ha compromesso uno dei diritti della persona direttamente tutelati dalla Costituzione. Per la configurabilità del danno la Corte indica tre condizioni:
che l’interesse leso abbia rilevanza costituzionale;
che la lesione dell’interesse sia grave e non minimamente tollerabile;
che il danno non sia futile.
Il Tribunale specifica che anche in presenza di una violazione di diritti di rango costituzionale, il danno deve comunque essere provato, ai sensi dell’art. 2697 c.c., non potendo mai essere considerato in re ipsa, ma a tal fine è ammessa anche la prova per presunzioni. Il danneggiato avrà l’onere di allegare gli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio.
Stanti le allegazioni in fatto, i Giudici romani hanno affermato che “secondo il comune sentire, l’assenza di un genitore nella vita del figlio genera indubbiamente molteplici ripercussioni ne­gative nella vita di quest’ultimo, tra cui scompensi affettivi e la privazione di sostegno psicologico e di guida, oltre ad inevitabili ricadute nella stessa della vita di relazione”.
Il danno è stato liquidato in via equitativa nella somma di euro 30.000 per ogni figlia.
La sentenza non costituisce una pronuncia isolata.
Il Tribunale di Venezia, con la sentenza 30 giugno 2004, ha liquidato in favore di una ragazza che il padre si era rifiu­tato di riconoscere, sia il danno morale derivante dal reato di violazione degli obblighi familiari di cui all’art. 570 c.p., sia il danno esistenziale “scaturito dalla carenza, totale, ininterrotta e consolidata di qualsiasi rapporto affettivo”.
Il Tribunale di Modena, con la sentenza 12 settembre 2006, ha riconosciuto l’esistenza di un danno esistenziale de­rivante dalle ripercussioni sulla personalità del figlio non rico­nosciuto, causate dalla consapevolezza di non essere mai stato desiderato e trattato come figlio.
Infine nel 2007 (sentenza del 27 settembre), il Tribunale di Trani, pur avendo rigettato la domanda di risarcimento per mancanza di prova, ha ammesso l’esistenza teorica di un danno che va a riflettersi nella sfera personale del soggetto leso.
Il trend è chiaro, c’è un diritto costituzionalmente garantito da parte del figlio naturale il quale deve essere assistito dal punto di vista patrimoniale, ma anche dal punto di vista educativo e affettivo.
Quanto poi al tipo di danno risarcibile, la sentenza sembra peccare di sistematicità.
I giudici romani parlano di “danno morale”, forse fuorviati dalla prospettazione data dalle parti, ma indicano come con­seguenze dannose gli “scompensi affettivi, la privazione di guida e le ricadute sulla vita di relazione”, che sono pregiudizi attinenti alla sfera relazionale, quindi esistenziale.