Il licenziamento del dipendente, autore di una lettera di accuse contro il datore, è sproporzionato ma non ritorsivo
La Corte di Cassazione, con Sentenza n. 2316 del 17 febbraio 2012, ha stabilito che il licenziamento del dipendente, autore di una “argomentata e vibrata lettera di protesta” contro il datore di lavoro è carente di giustificato motivo soggettivo, per sproporzione fra il fatto stesso e la sanzione comminata affermando tuttavia il carattere non ritorsivo dello stesso. In particolare la Suprema Corte ha precisato che “non vi è, in sostanza, alcuna contraddizione tra la affermazione della mancanza della prova del carattere ritorsivo del licenziamento (che incombe sul lavoratore) e la affermazione della sproporzione del licenziamento stesso, ben potendo ritenersi – come nella fattispecie ha affermato la Corte di merito – “che una lettera, destinata a conoscenza interna quand’anche contenga un’elencazione di fatti non provati, possa non essere considerata talmente grave” – in riferimento al contenuto comunque “oggettivamente non denigratorio” di quei fatti – “da comportare il recesso dal rapporto, poiché le esigenze di tutela della struttura gerarchica aziendale (art. 2086 c.c.) devono essere contemperate con il diritto costituzionale di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.)” ed in particolare con il diritto di critica, nel quadro della valutazione di tutte le circostanze del caso, così escludendosi, non solo la giusta causa tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto, ma anche il notevole inadempimento degli obblighi contrattuali che integra il giustificato motivo soggettivo.”.