Il provvedimento di espulsione va motivato. Ma l’immigrato deve documentare la data di ingresso in Italia
L’immigrato deve documentare la data d’ingresso nel
territorio nazionale, d’accordo. Ma il provvedimento di espulsione va
motivato. Lo ricorda la prima sezione civile della Cassazione con
l’ordinanza sentenza 462/10.
E’ stato accolto il ricorso di un
cittadino di nazionalità ucraina contro la sentenza del Giudice di pace
che gli aveva dato torto. Al centro del mirino un decreto di espulsione
emesso dal Prefetto di Roma nei confronti dell’immigrato perché si era
trattenuto nel territorio dello Stato senza aver richiesto il permesso
di soggiorno nel termine prescritto. Tuttavia la Prefettura – è questa
la tesi della difesa – non solo non ha fornito la prova in ordine alla
presunta data di arrivo dell’uomo in Italia ma addirittura ha omesso
l’indicazione dei motivi dell’espulsione. Il provvedimento di
allontanamento dall’Italia – osservano gli “ermellini” – è un atto
obbligatorio a carattere vincolato, per cui il giudice ordinario
dinanzi al quale il decreto venga impugnato è tenuto unicamente a
controllare l’esistenza, al momento dell’espulsione, dei requisiti di
legge che ne impongono l’emanazione. Presupposti che consistono nella
mancata richiesta in assenza di cause di giustificazione del permesso
di soggiorno, ovvero nella sua revoca o annullamento o nella mancata
tempestiva richiesta di rinnovo che ne abbia comportato il diniego. Al
giudice ordinario, però, non è consentita alcuna valutazione sulla
legittimità del provvedimento del Questore che abbia rifiutato,
revocato o annullato la carta di soggiorno o che ne abbia negato il
rinnovo. Tale sindacato, infatti, spetta al Tribunale amministrativo,
la cui decisione – sottolinea la Suprema corte – non costituisce in
alcun modo un antecedente logico della pronuncia sul decreto di
espulsione. Insomma, il giudice dell’espulsione è tenuto solo a
verificare la carenza di un titolo che giustifichi la presenza dello
straniero sul territorio nazionale, non anche la regolarità dell’azione
amministrativa svolta al riguardo. E’ stata dunque cancellata con
rinvio la sentenza del Giudice di pace. Sbaglia il magistrato onorario
quando ammette che per giurisprudenza costante del “Palazzaccio”
rientra in pieno nel potere discrezionale della Pubblica
amministrazione la facoltà di specificare e/o giustificare i motivi
posti alla base dell’emissione dei prestampati il cui contenuto non può
e non deve in alcun modo essere valutato dal GdP, posto che è possibile
adire il Tribunale amministrativo. Mentre nel caso in esame dal
provvedimento prefettizio non è dato evincere neppure sulla base di
quali presupposti sia stato emesso. L’obbligo di motivazione –
chiarisce Piazza Cavour – deve essere inteso in funzione dello scopo
che è quello di consentire al destinatario la tempestiva tutela dei
propri diritti attraverso l’opposizione. Facendo così valere le proprie
ragioni dinanzi al giudice chiamato a esercitare il dovuto controllo
giurisdizionale sull’atto. Spetta all’immigrato documentare la data di
ingresso nel territorio nazionale al fine di dedurre la mancata
decorrenza dei termini per inoltrare la richiesta della carta di
soggiorno. L’immigrato espulso, però, deve sempre poter conoscere il
provvedimento che lo riguarda: dunque, stop all’espulsione se il
decreto non è tradotto. Tuttavia, la deroga è ammessa solo se vengono
spiegate le ragioni per le quali non è stato possibile tradurre il
decreto. L’attestazione da parte dell’Autorità, dell’indisponibilità di
reperire un interprete che renda noto il provvedimento all’immigrato
nell’idioma che gli è proprio, costituisce condizione sufficiente per
la validità della traduzione in francese, inglese o spagnolo.