Il rifiuto del test Dna può assumere valore di prova anche se il rapporto era libero
Con la sentenza n. 24361 del 29 settembre, la Corte di Cassazione ha stabilito che il rifiuto del presunto padre di sottoporsi al test del DNA può assumere valore di prova per stabilire la filiazione anche nel caso in cui sia accertato che la madre, all’epoca del concepimento, frequentava altri uomini. Così la Suprema Corte ha respinto il ricorso di un uomo di Ascoli contro la sentenza della Corte di Appello di Ancona che ne dichiarava la paternità su istanza del figlio naturale.
La Cassazione ricorda infatti che “ai fini dell’accertamento della paternità naturale può essere utilizzato ogni mezzo di prova (art. 269, secondo comma, c.c. )” e pertanto il giudice può basarsi “anche su risultanze di valore probatorio soltanto indiziario“.
L’uomo non aveva contestato la “frequentazione amorosa” e aveva sostenuto che “nel periodo del concepimento fossero altri .. a frequentare assiduamente la madre” del ragazzo. Un dato considerato tuttavia ininfluente rispetto all’accertamento dell’effettività del rapporto di filiazione che “non potrebbe comunque essere escluso da un’eventuale conferma della circostanza che la madre di quest’ultimo fosse solita frequentare assiduamente altre persone di sesso maschile”.